Capolinea al Camp Nou: si conclude a Barcellona, con una netta sconfitta (3-1) contro i blaugrana (gol di Lenglet, capolavoro di Messi e rigori di Suarez e Insigne) nel ritorno degli ottavi di Champions League, la travagliata stagione del Napoli, partita tra sogni di scudetto, scossa dalla rivolta di Novembre e dall’esonero di Ancelotti, e rimessa in carreggiata da Gattuso, che pur non convincendo del tutto ha vinto un trofeo (la Coppa Italia) e garantito un’altra stagione in Europa, seppur nella competizione meno prestigiosa.
Ironia della sorte, si è conclusa dunque proprio in Spagna l’avventura azzurra di Josè Maria Callejon, che saluta Napoli dopo 7 stagioni, 349 presenze, 82 gol e 78 assist.
I numeri, da soli, non bastano a descrivere il contributo di Callejon alla causa azzurra, ma le quasi 50 presenze stagionali di media danno sicuramente l’idea di quanto Josè sia stato letteralmente imprescindibile per il Napoli e per tutti i tecnici che lo hanno avuto alle proprie dipendenze.
Eppure il suo arrivo fu salutato con un certo scetticismo, cosa che del resto non capita di rado a Napoli, piazza che aveva accolto con freddezza gli acquisti di Hamsik, Lavezzi e dello stesso Cavani (chiamato a sostituire l’idolo Quagliarella).
Per Callejon l’etichetta fu presto trovata: era uno “scarto del Real Madrid”, così come gli altri ex blancos arrivati quell’estate, Raul Albiol e…Gonzalo Higuain.
In pochi sapevano che tra gli estimatori di Callejon, oltre a Rafa Benitez che tanto aveva spinto per portarlo in azzurro, c’era anche Josè Mourinho (personaggio spesso sopra le righe ma di indubbia competenza calcistica), che lo aveva allenato per due stagioni al Real.
Nonostante la rosa dei “galacticos” fosse ricca di attaccanti prestigiosi, il tecnico portoghese aveva quasi sempre trovato posto in campo per Josè, che infatti con la “camiseta blanca” ha collezionato 77 presenze in quelle due annate.
Benitez, scatenando battute e risatine nell’ambiente, predisse per Callejon una stagione da 20 gol: sin dall’esordio in maglia azzurra col Bologna del 25 Agosto 2013, immediatamente “bagnato” con la rete del vantaggio, si capì che quella del tecnico spagnolo era una previsione per nulla azzardata.
Callejon infatti concluse quella stagione proprio a quota 20 marcature, realizzate anche contro avversari prestigiosi (gol alla Juve dei 102 punti nella vittoria 2-0 in campionato, gol a Marsiglia ed Arsenal in Champions League) e spesso decisive: suo il primo gol nel 3-0 alla Roma nella semifinale di ritorno di Coppa Italia, che aprì agli azzurri le porte della finale poi vinta contro la Fiorentina il 3 Maggio 2014.
Al di là delle tante reti e dei preziosi assist, a sorprendere tifosi ed addetti ai lavori fu la grande intelligenza tattica di Callejon, capace di dare equilibrio alla squadra con puntuali ripiegamenti difensivi, eppure sempre in grado farsi trovare nel posto giusto al momento giusto.
Con l’addio di Benitez, al termine di una seconda stagione complicata (pur se impreziosita dalla vittoria in Supercoppa Italiana a Doha contro la Juventus), furono in tanti a credere che l’arrivo di Maurizio Sarri avrebbe tolto spazio a Callejon, poco adatto al 4-3-1-2 che il tecnico di Figline Valdarno voleva adottare a Napoli.
Dopo le prime balbettanti esibizioni, Sarri capì che era viceversa il caso di adattare il modulo di gioco pur di trovare posto a Josè: il 4-3-3 proposto nella partita di Europa League contro il Bruges del 17 Settembre 2015, che fruttò subito un 5-0 (con…doppietta di Callejon), non fu mai più abbandonato, facendo le fortune del Napoli di Sarri (soprattutto, le fortune di Sarri) nel triennio culminato con un campionato da 91 punti e 97 gol segnati, incredibilmente concluso senza la vittoria dello scudetto, per motivi poco attinenti a quanto visto in campo.
Celebri, in questi anni, i tagli di Josè sul secondo palo per ricevere le pennellate di Lorenzo Insigne, e colpire a rete oppure regalare assist ai compagni pronti a centro area; una giocata, “Insigne per Callejon”, paragonabile a quella “Stockton to Malone” che rese grandi gli Utah Jazz, storici rivali dei Bulls di Michael Jordan negli anni ’90: sempre attesa dalle difese avversarie, che però mai hanno saputo neutralizzarla, subendo gol con disarmante puntualità.
Nemmeno con l’avvento sulla panchina azzurra di Carlo Ancelotti l’impiego di Callejon è diminuito, anzi: all’attaccante nativo di Motril il nuovo mister ha chiesto ancora più sacrificio, proponendolo come esterno di centrocampo nel 4-4-2 varato per cercare di ridare alla squadra un equilibrio smarrito dopo le partenze prima di Jorginho, e poi di Hamsik ed Albiol.
Il rendimento sotto porta dell’andaluso ha finito inevitabilmente per risentirne, ma la sua sagacia tattica e l’abilità nel dare una mano ai compagni in fase di non possesso sono risultate comunque fondamentali, in una stagione conclusasi con un secondo posto e con una qualificazione agli ottavi di Champions sfuggita per un solo gol in meno realizzato rispetto al Liverpool futuro Campione d’Europa.
Quest’anno, inutile negarlo, il rendimento di Callejon non è stato all’altezza delle sue migliori stagioni, anche se mister Gattuso (subentrato ad Ancelotti dopo un disastroso inizio di campionato, e nonostante la qualificazione agli ottavi di Champions) lo ha comunque mandato in campo spesso e volentieri: in un momento così delicato, l’esperienza di Josè era una dote a cui era difficile rinunciare, anche a costo di sacrificare due talenti bisognosi di spazio come Lozano e Politano.
Callejon ha giocato questa stagione con la consapevolezza che, non avendo trovato l’accordo per il rinnovo, sarebbe stata l’ultima con la maglia del Napoli, e al di là di un calo nelle prestazioni probabilmente inevitabile (a Febbraio Josè ha compiuto 33 anni), il suo impegno, la sua professionalità ed il suo attaccamento ai colori azzurri sono stati sempre sotto gli occhi di tutti.
Nessuno potrà dimenticare le lacrime, di gioia e tristezza insieme, alle quali Callejon si è abbandonato, da solo ed in ginocchio, subito dopo il rigore realizzato da Milik che ha regalato la Coppa Italia al Napoli: la gioia di aver contribuito alla conquista di un altro trofeo, unita alla tristezza di chi sapeva che non avrebbe potuto regalarne altri alla squadra ed alla città che gli sono entrati ormai nel cuore.
Forse non è un caso che Josè vada via dopo 7 stagioni: 7, come il numero che non ha avuto paura di indossare ereditandolo dall’amatissimo Matador Cavani, e che ha onorato come e più del suo illustre predecessore.
Sette stagioni, vissute giocando dal primo all’ultimo minuto a testa alta, per vedere prima e meglio cosa succedeva in campo; e concluse andando via, con discrezione, ma a testa alta, come chi sa di aver dato tutto quello che aveva nel corpo e nell’anima, da vero “hombre vertical”.
Mucha suerte, Josè, y gracias.