I Cesaro, a nominarli, sembra quasi di evocare qualche serie tv, in stile americano, fatta di intrecci tra politica, imprenditoria e malaffare. Purtroppo, però, quanto emerso nelle ultime ore, non è una finzione, ma anzi ci palesa, ancora una volta, l’amara verità su quanto i nostri territori siano profondamente afflitti dalla piaga della criminalità. Nella mattinata di ieri, come appresso da tutte le fonti giornalistiche, c’è stato un maxi blitz dei carabinieri del Ros, i quali hanno eseguito una misura cautelare – emessa dal gip del Tribunale di Napoli su richiesta della locale Procura distrettuale – a carico di 59 indagati accusati di numerosi reati. Si va dall’associazione mafiosa al concorso esterno; dalla corruzione elettorale fino all’estorsione e alla turbata libertà degli incanti. Coinvolti, come si diceva, anche i tre fratelli del noto politico e parlamentare di Forza Italia, Luigi Cesaro (conosciuto come “Giggino ‘a Purpetta”), con l’accusa di concorso esterno in associazione camorristica. In realtà, come successivamente venuto fuori, anche lo stesso Luigi è sotto indagine. Allo stato attuale, uno dei tre Cesaro è finito in carcere, mentre altri due sono agli arresti domiciliari.
L’operazione degli investigatori è andata a colpire i clan Puca, Verde e Ranucci, i quali insistono su Sant’antimo e in altri comuni della zona periferica di Napoli, un’area considerata da loro quasi come un vero e proprio “feudo” da spolpare fino all’osso. Sotto sequestro è finita la società “Il Molino Galleria Commerciale” e, in contemporanea, anche beni per un valore di oltre 80 milioni di euro.
Secondo quanto appurato dagli organi inquirenti, gli interessati avevano una cassa comune chiamata “cappello”, utile proprio a far confluire tutti i guadagni delle attività illegali. I tre clan avevano messo da parte le divergenze del passato per gestire gli affari e controllare la pubblica amministrazione nel comune di Sant’Antimo. Nel loro libro paga risultano pure due membri dell’arma dei carabinieri, uno dei quali già agli arresti domiciliari oltre che sospeso dal servizio come il collega. Uno di loro si è prestato addirittura a costruire una denuncia per un falso attentato ai danni di un funzionario dell’ufficio tecnico comunale di Sant’Antimo per depistare le indagini. Il finto attentato serviva a dimostrare che il tecnico non era colluso con il clan e che anzi ne era vittima. Un sistema, quindi, per proteggere procedure amministrative che avrebbero favorito il clan.
Insomma, ciò che si è venuto a determinare è alquanto avvilente e ci auguriamo che le autorità possano fare chiarezza e giustizia in maniera esaustiva. Come si diceva, però, questa notizia, per l’ennesima volta, ci sbatte in faccia quelle che sono le nostre più radicate problematiche. Dobbiamo assolutamente insistere sulla promozione della cultura della legalità e contribuire a creare un maggior grado di consapevolezza in seno alla cittadinanza, specie quando esercita il suo diritto di voto.