Un riff di basso ipnotico, un accompagnamento di batteria insolito e protagonista, una delle hits dei padri di gran parte del pop/rock dell’ultimo cinquantennio, la traccia di apertura di uno degli album più iconici di sempre, del quale, se anche non ricordi il titolo, riconosci immediatamente la foto in copertina, quella in cui i Beatles attraversano la strada sulle celeberrime strisce pedonali di Abbey Road.
Questa potrebbe essere una buona presentazione di Come Together per qualcuno (se esiste) che non l’abbia mai ascoltata, ma sicuramente un tuffo nei giorni che ne videro la realizzazione sarà più emozionante, e chissà se quel caldo luglio del 1969 non ci svelerà qualche aneddoto interessante sui personaggi e sulla storia di questo brano.
Londra, 21 luglio 1969.
Ho appena parcheggiato la Macchina del Tempo in un angolo appartato di una traversa di Abbey Road. Poco prima della rotatoria di un incrocio, alla fine del lungo viale alberato, sorgono gli studi di registrazione. Mentre provo a trovare una buona scusa per intrufolarmici, noto che un gruppo di operai sta entrando dalla porta principale con un grosso letto. È l’occasione giusta. Fingendo di dare una mano, in meno di due minuti sono nella sala di regia dello studio più famoso al mondo. Ma cosa dovranno mai farsene i Beatles di un letto matrimoniale?
La risposta arriva subito, John Lennon in persona sta dando istruzioni su come e dove sistemarlo. Lui e Yoko hanno avuto un incidente stradale a fine giugno, lei è ancora convalescente ma John non vuole rinunciare alla preziosa presenza della sua Musa. Sarà in studio anche Yoko, distesa in regia con un microfono sistemato all’altezza del cuscino, pronta a dire la sua su tutto e a dare consigli al Beatle dagli occhiali tondi. Dal vetro che affaccia in sala di ripresa riesco a vedere George, Paul e Ringo già pronti coi rispettivi strumenti e le cuffie sulla testa. Non sembrano molto contenti di quello che sta succedendo, ma il brano su cui si lavora oggi è prorprio di John, quindi meglio acconsentire.
Come Together, è questo il titolo.
Qualche settimana fa i coniugi Lennon-Ono erano distesi a letto in una camera d’albergo di Montreal, intenti a rilasciare interviste contro la guerra in Vietnam, in una singolare forma di protesta non violenta che hanno battezzato Bed-In. Uno dei primi singoli targati Plastic Ono Band, Give Peace a Chance, inno transgenerazionale del pacifismo, è stato registrato proprio in quell’occasione.
Tra gli ospiti del duo c’è il santone-guru-scenziato Timothy Leary, una delle guide spirituali del movimento Hippie, proprio il promotore delle potenzialità degli allucinogeni che abbiamo incontrato qualche settimana fa a San Francisco durante il nostro viaggio nell‘estate dell’amore. (https://www.senzalinea.it/giornale/lestate-dellamore/)
Leary è in corsa contro Ronald Regan per diventare governatore della California e ha commissionato a Lennon una canzone che possa essere l’inno della sua campagna elettorale. Lo slogan usato dal politico è “Come together, join the party”.
John sta facendo ascoltare una bozza del brano ai suoi tre colleghi.
Il primo a prendere la parola è Paul McCartney. Fa notare all’ amico che c’è un problema grosso: la canzone somiglia troppo a You Can’t Catch Me, un brano di tredici anni fa (1956) di Chuck Berry. Per di più John ha incautamente scopiazzato una frase della seconda strofa di quel pezzo: “Here come old flat-top”.
“Tutto quello che puoi fare per differenziare le due canzoni, fallo” è la risposta di Lennon.
Paul mette mano al basso proponendo di rallentare il pezzo, mentre chiede ai fonici Geoff Emerick e Phil McDonald di cercare un suono “paludoso” per il suo strumento. Poi, come un mago, tira fuori dal cilindro uno dei riff di basso più famosi di sempre, a cui Ringo d’istinto accosta un geniale accompagnamento di batteria.
Il 26 settembre del ’69 esce nel Regno Unito l’album Abbey Road, seguito in ottobre da un singolo a doppia facciata “A” contenente Come together e Something.
La BBC boccerà Come Together decidendo di non programmarla: il riferimento alla Coca Cola nel testo non piace, sembra pubblicitario, ma problemi di John non finiranno qui.
A Morris Levy, titolare dei diritti di You Can’t Catch Me di Chuck Berry, non andrà giù la somiglianza tra le due canzoni, tantomeno la “citazione” nel testo. Ne deriverà una querela per la quale Lennon sarà costretto a risarcire l’editore registrando tre canzoni di proprietà di Leavy in uno dei suoi album da solista (Rock’n’Roll del 1975).
Lo stesso Timothy Leary, che nel frattempo ha dovuto abbandonare l’idea della sua candidatura politica, accuserà il beatle di avergli “rubato” lo slogan .
Il mondo sommerso dietro questa canzone però mi sta riservando un’altra sorpresa. Non bastano i letti, la politica, la censura, i plagi, e le rivendicazioni di terzi a sorprendermi quanto un macabro particolare.
È il giorno in cui si registrano le voci soliste, la canzone ormai ha preso quasi la sua forma definitiva e John si appresta a cantare. Ha deciso di riempire con una specie di sussurro la parte iniziale. Ad un primo ascolto non capisco bene cosa stia dicendo, poi il verso viene ripetuto ancora e ancora. Finalmente comprendo che il sibilo all’inizio della canzone è uno “shoot me” (“sparami”).
Per un attimo mi passa per la testa l’idea di metterlo in guardia da quello che gli capiterà tra poco più di undici anni, l’ 8 dicembre del 1980, ma sono qui solo per raccontare la storia, non per cambiarla.