Quello che non so di lei è l’ultima opera del leggendario regista Roman Polanski, scritto a quattro mani con Olivier Assayas (Personal Shopper) e trasposizione diretta del romanzo D’après une histoire vraie (Tratto da una storia vera) di Delphine de Vigan. Il film è stato terminato in meno di un anno e presentato fuori concorso al Festival di Cannes 2017.
Delphine (Emmanuelle Seigner) è una scrittrice reduce del suo più grande successo, un romanzo sui dolori di sua madre. Stanca dagli obblighi del lavoro, conosce Lei (abbreviazione di Leila, interpretata da Eva Green). Le due dimostrano subito una forte alchimia, a partire dalla professione in comune (Lei è una ghostwriter di biografie di personaggi famosi) e diventano molto amiche, iniziando a dipendere l’un dall’altra man mano che la psiche di Delphine si infragilisce e affronta il blocco dello scrittore. Lei si dimostra però sempre più ossessiva in questa relazione, insistendo che Delphine debba smettere di perdere tempo con romanzi e scrivere il suo “romanzo segreto” di matrice autobiografica.
E con questa insistenza di Lei, Polanski mette a nudo una verità più crude del cinema contemporaneo:”La gente non vuole finzione, vuole la verità!“. Ed è proprio su questo filo sottile che il film oscilla, partendo da scene surreali di sogni e culminando in una continua confusione tra deliri e realtà, sena mettere in considerazione la metatestualità tra film e libro. Polanski d’altronde è un maestro dell’onirico e dell’intimo e qui ci dà riprova di queste sue abilità, costruendo un film elegante e raffinato, che non si perde in inquadrature virtuosistiche ma che si concentra sulla straordinaria alchimia tra Emmanuelle Seigner ed Eva Green che riesce quasi a trainare il film.
Quasi perché il film, che vuole essere un thriller psicologico, manca dello spessore necessario e complice forse la fretta e una difficile trascrizione dal romanzo, della tensione, del thrill che viene distrutto da una atroce prevedibilità. I modelli di ispirazione risultano lontani da questo film, come Misery non deve morire o il suo stesso L’uomo nell’ombra, di cui Quello che non so di lei sembra essere la debole controparte femminile. Insomma, il lungometraggio si riesce a mantenere in piedi solo grazie alla straordinaria inquietudine di Eva Green, le colonne sonore di Alexandre Desplat e l’esperta mano di Polanski alla telecamera, che però non sembrano far valere la pena.