Negli ultimi giorni, come tutti sappiamo, un fatto di cronaca, assai duro, verificatosi a Napoli, ha scosso l’opinione pubblica, suscitando moltissime discussioni, anche molto aspre. Le dinamiche che hanno portato all’uccisione del giovanissimo rapinatore, ormai, sono note a tutti, e duole constatare che pure su questa vicenda terribile si sia aperta una sorta di scontro tra tifoserie. Ma, a ben guardare, in questa storia non c’è assolutamente nulla su cui dividersi e parteggiare. Perché? Perché non ci sono e non ci saranno vincitori, ma solo sconfitti. Parliamo di una sconfitta enorme, su più livelli, la quale, però, ci si consenta di dirlo a chiare lettere, innanzitutto, coinvolge la famiglia della giovane vittima, per le sue pecche, e poi, in secondo luogo, lo Stato, quindi la nostra società.
Fortunamente, come è giusto che sia in un sistema democratico, sarà la magistratura a lavorare sul caso e a definire, nel dettaglio, le responsabilità dell’accaduto che ha portato concretamente all’uccisione. Siccome è venuta a mancare una vita, da prassi, è normale che sia stata aperta un’indagine per “omicidio volontario“, ma, di certo, bisognerà attendere l’esito del processo. In gioco, chiaramente, c’è quello che è l’istituto giuridico della “legittima difesa” da parte del carabiniere. Quello che possiamo fare noi, da un punto di vista giornalistico, è cercare di ricostruire, invece, le responsabilità in un’accezione più ampia e non strettamente giudiziaria. Come si diceva, in primo luogo, essendo stato coinvolto un minore, non si può non porre una lente di analisi sulla famiglia, la stessa che, in maniera parecchio deprecabile, ha devastato il Pronto Soccorso del Pellegrini. È inevitabile, in tal senso, chiedersi perché quello che era poco più di un bambino si trovasse per strada, di notte, armato con una pistola – poi risultata finta – per minacciare le persone e rapinarle. A quell’età e a quell’ora, il sedicenne sarebbe dovuto stare nel suo letto, al caldo, a riposare per andare a scuola, tra amici e compagni, l’indomani. A quell’età, l’adolescente si sarebbe dovuto divertire giocando a pallone, non aggredendo i passanti. Probabilmente, quello dell’autocritica e della conseguente presa di coscienza è un esercizio lontano dalla sensibilità di queste persone, specie in questo momento, ma i genitori e i parenti, prima di ogni altra accusa verso gli altri, dovrebbero un attimo fermarsi e puntare su se stessi il dito, interrogandosi su quanto grande sia la propria parte di colpa.
Dopodiché, possiamo passare pure a concentrarci su quelle che sono le mancanze, sul piano generale, dello Stato, il quale, invero, tarda, da sempre, nel riuscire a contrastare il fenomeno, largamente diffuso, della dispersione scolastica. La scuola, in effetti, dovrebbe essere rafforzata per essere il primo vero e forte baluardo per cercare di arginare i fenomeni di deliquenza che cominciano già tra i più piccoli. In più, per Napoli, così come per tutto il Sud – e questo lo si ripete invano ormai da decenni – è tempo di politiche di investimento serie e concrete per dare speranza, alternative e possibilità, in termini di formazione e lavoro, alla gioventù. Questo episodio grave, deve servirci a riflettere sempre di più su quanto sia necessario che si smetta di gettare fumo negli occhi e piuttosto si cerchi in tutti i modi di non lasciare i giovani in balìa di logiche selvagge e cattive.
Una nota di amarezza, in aggiunta, la esprimiamo anche per il modo, alquanto insopportabile, con il quale questo fatto è stato trattato dai giornali, tanto a livello locale quanto a quello nazionale, partendo dal cartaceo fino all’online, arrivando alla televisione (basti pensare, per citarne una, alla trasmissione di Giletti su La 7). Ebbene, innanzitutto respingiamo con fermezza i soliti luoghi comuni su Napoli e le ingiurie a danno di tutta la collettività, sulle quali dobbiamo sempre indignarci e in nessun modo abituarci. Dipoi, più che “spettacolarizzare” in continuazione le reazioni dei parenti della vittima, almeno su questo caso così delicato, ci si sarebbe aspettati da parte dei media massima serietà, sobrietà, equilibrio e rispetto. Ancora una volta non si è fatto del buon giornalismo e ciò non può che dispiacerci.