Vers vive su Hala, capitale dell’impero galattico e militarista dei Kree. Capelli biondi, sangue verde-blu, addestrata da Yon-Rogg a combattere controllando emozioni e poteri straordinari, di tipo energetico.
Catturata dagli skrull, i nemici mutaforma dei kree, questi ne esaminano la mente alla ricerca di risposte, facendo riaffiorare in lei ricordi passati legati alla sua vita sulla Terra, oltre che scatenarle tutta una serie di flashback aventi a tema una donna misteriosa, tramite le cui sembianze gli stessi kree usualmente comunicano con lei. Sarà l’inizio dell’avventura che la riporterà sulla Terra, negli anni 90, dove scoprirà il suo passato come tale Carol Danvers, fino a impossessarsi nuovamente della propria identità.
Vers, che può giovarsi di una educazione di stampo militare, è la prima eroina protagonista solitaria di un Marvel movie. Emblema della pace, donna che riscopre la propria forza, schierata al fianco dei migranti, probabile soggetto ispiratore per ragazzine e donne, specie perché usa i suoi superpoteri per sottrarre i più deboli ai soprusi.
Carol è dotata di gran senso di giustizia, un ‘Captain Marvel’ attuale, gradevole, impegnato in una pellicola dalla gran varietà di situazioni e location, alternandosi tra una battaglia laser alla ‘Star Wars’ e inseguimenti con mutaforma alla ‘Terminator 2’.
Ventunesimo capitolo della saga, downgrade in termini di spettacolarità rispetto ai predecessori, ridefinito nella sua genesi per poter creare un giusto anello di congiunzione con “Avengers-EndGame”. Infatti, a differenza del fumetto (grazie a una sorta di retaggio alieno), qui l’origine dei poteri della protagonista è da attribuirsi ad una delle gemme dell’infinito, probabilmente un elemento importante del prossimo “Avengers: Endgame”.
Carol, quantomeno in partenza, è una terrestre piuttosto comune; una vita in cui si alternano soddisfazioni e fiaschi dai quali risollevarsi con raziocinio ed umiltà, senza portarsi dietro ossessioni o desideri di vendetta. Non degna il suo nemico di uno scontro alla pari perché non lo considera qualcuno a cui dover dimostrare qualcosa, quale sdegnosa rivalsa della donna su un uomo che l’ha sfruttata, solleticando nei nerd della destra d’oltreoceano il prurito di un pernicioso femminismo che va a sostanziarsi anche nell’ottimo rapporto con un’altra donna e la sua bambina.
È proprio la piccola Monica Rambeau, figlia dell’amica e pilota di jet Maria, a ispirare a Carol i colori del suo costume da battaglia, mentre lei a sua volta ispira al giovane Nick Fury il nome Avengers per il futuro supergruppo.
Il personaggio interpretato da un Samuel L. Jackson digitalmente ringiovanito, per l’intera durata, dimostra come questa tecnologia possa essere efficace se lo sforzo produttivo è importante, ma basta guardare al suo collega Clark Gregg, a sua volta ringiovanito nei panni dell’agente Coulson, per vedere come l’operazione possa anche funzionare poco.
Fury ha qui un carattere molto diverso da quello che conosciamo. Non ancora inaspritosi col tempo e ancora capace di stupirsi per gli altrui superpoteri, crea con Carol un’amicizia complice, dove è chiaramente lei a dominare la scena.
Tranne quando è presente il gatto Goose, che presenzia lungo i momenti più esilaranti del film per ragioni che non vogliamo rivelare (se vi innamorate di lui non uscite prima della fine dei titoli di coda!).
Efficace anche Ben Mendelsohn nei panni dello skrull Talos, che riesce a distinguersi dai soliti villain che gli sono capitati negli ultimi tempi. In fatti, in queste vesti, riesce a dimostrare anche empatia e sense of humour.
Espressivo, benchè non al top, anche Jude Law nel ruolo di Yon-Rogg, che del resto è un militare poco emotivo e quindi non gli consente di sfoggiare il suo estro.
Meglio Annette Bening, che, in un doppio ruolo, interpreta sia lìIntelligenza suprema Kree, sia un altro personaggio che, per evitare spolier, non posso svelare. Tuttavia si può dire che il medesimo le fornisce occasione di innervare nel ruolo una gamma molto elevata di emozioni molto diverse.
Il film rende poi omaggio alla sceneggiatrice che ha rilanciato il personaggio, Kelly Sue DeConnick, in un veloce e muto cameo.
E, soprattutto, a Stan Lee; presente non solo in uno dei suoi ultimi camei post-mortem ma pure al centro della sequenza iniziale del logo Marvel, dedicata integralmente al suo genio.
La vera chiave di lettura di “Captain Marvel” – un film che non mi ha fatto impazzire ma che resta gradevole – è aver mostrato una Carol molto più simpatica che nel fumetto originario. Oltre che antimilitarista e dotata di un gran senso di giustizia. Al punto che il film presenta una chiara connotazione politica.
Aggiungeteci una congrua spruzzata dalla fragranza dell’emancipazione femminile, rimarcata con ironia dalla colonna sonora, piena di brani anni 90 intepretati da donne (vedasi, ad esempio, “Just a Girl” dei No Doubt, la quale accompagna un’intera scena d’azione).
La scena durante i titoli di coda ci mostra che l’eroina sarà molto presente in “Avengers: Endgame”, che aspettano in tanti e con ansia.
Inoltre, la rivedremo di certo anche nei successivi Marvel movie.
C’è da giurarci.