A sud-est dell’isola di Capri, come sappiamo, si ergono, in tutta la loro straordinaria maestosità, i famosi Faraglioni. Essi rappresentano, senza dubbio, uno dei simboli più rappresentativi dell’isola nel mondo e, non a caso, tantissimi sono i turisti che da ogni parte accorrono, specie nelle stagioni primaverili ed estive, per bearsi della vista sulla loro millenaria bellezza paesaggistica e per fotografarli. Duole, quindi, oltremodo apprendere e dover riportare la notizia dei danni arrecati pure a queste caratteristiche sporgenze rocciose; cartolina per eccellenza dell’isola azzurra.
Come emerso nelle scorse ore, infatti, due organizzazioni criminali, per procurarsi datteri di mare, hanno devastato l’ecosistema marino del golfo di Napoli, creando danni consistenti, appunto, anche ai Faraglioni capresi. I sub utilizzavano esplosivi e martelli pneumatici per estrarre dalle rocce questi molluschi che, invero, sono una specie protetta, che i pescatori riservavano a una clientela, per così dire, “d’élite”. Una inchiesta della procura, delegata alla Guardia di finanza, ha portato allora all’emissione di 19 misure cautelari, con 6 persone in carcere, 6 ai domiciliari, 3 divieti di dimora a Napoli e 4 obblighi di presentazione alla polizia giudiziaria per associazione a delinquere finalizzata a reati ambientali, tra cui la devastazione. I pm si sono avvalsi anche di un gruppo di esperti, coordinati dal professor Giovanni Fulvio Russo, presidente della Società Italiana di Biologia Marina, e da Marco Sacchi dell’Ismar-Cnr, per comprendere al meglio le dinamiche e le conseguenze di questa attività criminale in mare. Per i periti, il prelievo illecito dei datteri ha desertificato l’ecosistema (sia flora che fauna) che si trovava sul 48% delle pareti dei Faraglioni sott’acqua. Gli esperti, inoltre, hanno stabilito che la portata del danno è tale che per ristabilire l’originario ecosistema potrebbero volerci almeno 30 anni.
L’indagine ha fatto emergere, inoltre, come era presumibile, un vasto mercato illecito, il cui volume d’affari era, senz’altro, molto grande, visto che i datteri costano dai 40 ai 200 euro al chilo. Nel corso delle intercettazioni, durate qualche mese, è emerso che queste operazioni sono state effettuate anche durante il lockdown e che le due associazioni erano riuscite in soli due mesi a estrarre 8 quintali di questa specie protetta venduti sul mercato nero. In aggiunta, il Reparto Operativo Aeronavale dei finanzieri ha sequestrato tre locali commerciali, tra Napoli e Castellamare di Stabia, usati per occultare i prodotti pescati illecitamente.
”Per un piatto di linguine ai datteri si distrugge un quadrato di fondale di 33 cm per lato, un gesto criminale che danneggia l’ambiente e mina la salute dei consumatori perché immette sul mercato prodotti ittici non tracciati”. Queste le parole di Fedagripesca-Confcooperative, come riportate su Il Fatto Quotidiano.
Si tratta, secondo gli organi inquirenti, di una indagine pionieristica – accolta dal gip di Napoli Egle Pilla e non ancora conclusa – nella quale è stato raccolto e adoperato tutto l’impianto accusatorio elaborato di recente in materia di delitti ambientali, il quale poggia le sue basi, tra le altre cose, anche sulle convenzioni internazionali dell’Unione Europea e delle Nazioni Unite sottoscritte a tutela dell’ecosistema e delle specie marine.
Non si può, ovviamente, che restare sconcertati dinanzi a un simile affronto e una simile offesa alla Bellezza e alla Natura.