Come ogni volta che si affronta l’argomento fare musica oggi si è inevitabilmente costretti a fare riferimento a quest’ultimo anno e mezzo di fermo totale delle attività artistiche e musicali causa covid19, ma anche a ricordare che il momento di crisi profonda del processo creativo musicale era iniziato da molto prima della pandemia. Già durante i precedenti dieci anni alcuni artisti, grazie all’avvento dei social e delle piattaforme per ascolto e vendita online, avevano iniziato a diffondere su internet i propri progetti musicali il più delle volte confezionati da casa grazie all’aiuto di evolutissime applicazioni di home recording e schede audio scaricate sui personal computer. Ora, chi scrive si accinge a tornare in sala per dare vita ad un nuovo progetto di inediti, genere fusion oppure smooth jazz, ma soprattutto per tornare a respirare l’aria di uno studio di registrazione vero con tanto di fonico, vani insonorizzati, pannelli, pianoforte mezza coda, amplificatori, banco di regia e quant’altro. Insomma tornare a socializzare e a scambiare emozioni e buone vibrazioni musicali con valenti compagni di progetto scelti per l’occasione.
Durante il blocco totale imposto dal virus qualche collega ha provato a rammentare al pubblico dei social della propria esistenza attraverso la pubblicazione di complicati video live da realizzare online, in sincrono con altri musicisti attraverso un click da seguire rigorosamente ma ciascuno da casa propria, una cosa a mio parere tristissima. Non ricordo quale altro collega mi ha detto che a volte per realizzare un video del genere, tra la disponibilità di tutti i componenti delle band e altre difficoltà tipo connessione a intermittenza, ci era voluto un mese!
Ricordo sempre con piacere la mia primissima esperienza di sala ad inizio anni 80 presso lo studio “3F”dei tre Fabrizi (D’Angelo, Milano e Gerli, all’epoca la ritmica della band di Pino Daniele) al Corso Vittorio Emanuele, l’emozione mia e dei miei amici musicisti nell’iniziare a scoprire tutti i segreti e trucchetti di un recording studio per far rendere al meglio un brano o un suo passaggio. E ricordo ancora tra gli altri insegnamenti di Fabrizio D’Angelo una cosa che mi disse e di cui faccio tesoro ancora oggi: “Sergio, vedi che in musica la ritmica è il 50% di una canzone o comunque di un brano”. Chissà se oggi un giovane musicista o presunto tale, senza distinzione di genere musicale, nell’approcciarsi alla costruzione di un pezzo si renda perfettamente conto del senso vero di quelle parole.
Ma c’è una premessa da fare. Nel 1980 ci trovavamo in pieno boom creativo artistico, si erano già palesati all’ascolto con alcuni capolavori i grandi artisti d’oltreoceano, Miles e la svolta elettrica, Benson, Jarreau, Vannelli, Earth Wind & Fire, Steely Dan, Manhattan Transfer, Weather Report, Pat Metheny Group, Steps, Yellowjackets. Ma la piacevolissima disco music di Barry White, Chic, K.C. & Sunshine band, Sisters Sledge, Diana Ross, Bee Gees stava purtroppo esaurendo il suo filone d’oro strizzando l’occhio per motivi di cassetta alle mode ritmiche del momento come la break dance, basata sull’esasperazione della linea ritmica della batteria e sull’asprezza sonora di cassa e rullante. Ma non basta: sempre per motivi di cassetta le etichette statunitensi dell’epoca iniziarono a flirtare anche con il rap, movimento di protesta razziale di colore verso il sistema, basato tutto su una animosa e verbosa ripetitività dei concetti da esprimere. E puntualmente come ogni moda che venga da oltreoceano, negli anni 90 queste forme sonore di parlato/ritmico(ma senza l’ombra di armonie e melodie) iniziarono purtroppo ad attecchire anche da noi ma in modo annacquato, con il sommo vate Jovanotti a farsi da “promotore”(non ho mai capito come possa fare rap uno che parla con la zeppola in bocca), ma ovviamente quando qualcosa non ti appartiene nel profondo e nonostante ciò provi a rifarlo ne viene fuori solo una penosa caricatura. Risultato: oggi ci ritroviamo con degli squallidi, patetici personaggetti nazionali e locali(qualcuno inneggiante anche alla violenza), tutti in preda alla fregola dell’apparire o della convinzione di fare rivendicazione sociale, che fanno larghissimo uso di trucco e autotune e che si definiscono trappers! E la musica?
Va da se che molti di questi personaggetti confezionano a domicilio le loro “opere” da soli, senza probabilmente avere un’idea sparata di ciò che significhi fare musica per comunicare emozioni, vittime come sono del presenzialismo social a tutti i costi attraverso la pubblicazione di post e link correlati da immancabili video su Facebook, Instagram e quant’altro.
Dal canto mio, a fine giugno tornerò con immensa gioia a riassaporare l’aria di sala registrazione con il mio nuovo progetto musicale, in compagnia di un fonico, un batterista, un bassista, una sezione fiati, due cantanti e persino un coro gospel. Insomma tutti musicisti con la M maiuscola, gente ovèro, con i quali finalmente tornare a interragire e ad emozionarsi non solo in studio ma, come mi auguro, anche al più presto dal vivo. E, se permettete, pubblicando anch’io post e link correlati da video su Facebook, Instagram e quant’altro! W la vera Musica!