Sia chiaro. Della trama, degli sviluppi e dei mille risvolti formativi connessi alla contrapposizione Bene-Male che potete rinvenire in questa riedizione del celebre capolavoro Disney del 1994, specie se come chi scrive adorate i cartoni della Disney – con riferimento tanto ai classici quanto a quelli un tantino più moderni -, sapete già TUTTO. Alcuna virgola esclusa.
La trama de Il Re Leone è nota anche ai sassi, al pari delle sue celeberrime canzoni, le scene cardine, i parimenti famosi scambi ironici e spiritosi fra i protagonisti, oltre alle genuine battute di spirito. Nessuno potrà rinvenire alcunchè di diverso nella versione foto realisticamente potenziata di Jon Favreau, che si giova del calco dell’originale come un tracciante capace di prendere per mano le nuove generazioni; tuttavia, forse inconsapevolmente, il canovaccio standard produce, per chi brama novità sostanziali il controproducente effetto del “Mbeh?”.
E sia altrettanto chiaro che tutti coloro che producono riedizioni, rielaborazioni minime di concetti e contenuti già sviscerati in precedenza (in tal caso, anche attraverso una campagna di marketing correlato con pochi precedenti) sanno bene il rischio che corrono. Il già visto, l’accusa di “consapevole minestrismo riscaldato” (locuzione che non esiste, ma che serve al recensore per un maccheronico inquadramento del fenomeno “The Lion King”).
E allora io cosa dovrei recensirvi in ordine alla trama, se non quello che già sapete a menadito?
D’accordo, mi ci adopero, ma giusto per completezza… 😉
Simba è il futuro re, il cucciolo di Mufasa, sovrano temuto e rispettato, che ripudia la guerra ed è saggio abbastanza per non scollinare oltre i già ampi confini del proprio regno.
Ma qualcuno, ohi ohi ohi, cospira in segreto per minare l’armonia e il naturale evolvere delle cose, che si auspica trovino il proprio naturale sviluppo nel prossimo ruolo di re di Simba il cuccioletto. Il nome del cattivone stratega è Scar, l’invidioso fratello minore di Mufasa, motivato a compiere il più turpe dei delitti pur di impossessarsi del potere in maniera fraudolenta.
Simba viene esiliato sulla base del più subdolo dei raggiri, laddove il piano ordito dal malefico zio prevedeva che a lui fosse imputata la fine dell’amato padre. Il giovanotto cresce allora distante dalla Rupe dei Re. Ma il richiamo del passato è troppo forte, e l’eco di quanto accaduto al genitore tornerà inevitabilmente a cercarlo, inducendolo a tornare per fare giustizia e per assumersi le sue responsabilità.
Tutto già visto. E allora? Quali sono le differenze con il suo predecessore, ormai alle nozze d’argento? Allora…
Se ‘La Bella e la Bestia’ in live action e CGI si è presentato come una valida alternativa al suo corrispettivo animato – se il remake de ‘Il libro della Giungla’, ad opera dello stesso Favreau, è un’ottima rivisitazione, con un tono specifico e una personalità propria – nessuna delle due cose, sfortunatamente, si può dire del nuovo ‘Il Re Leone’, che induce più a percorrere la strada costellata da interrogativi retorici che a provocare entusiasmo per questa riedizione.
Intendiamoci. In linea teorica, lo spunto consistente in una immersione quanto più realistica possibile nelle meraviglie della Savana e delle sue creature è un’idea carina, e che presuntivamente poteva anche ritenersi efficace.
Tuttavia, il ricorso intensivo alla CGI finisce per adombrare i contenuti “psicopedagogici” dello stesso film, adducendo nello spettatore un semplice interrogativo: era così necessario produrre un remake di siffatta tipologia?
I nobili rappresentanti della fauna vengono forzati ad assumere posture verbali sin troppo “para-umane”, probabilmente nel tentativo di ricondurne l’appeal a fini empatici, laddove qui improvvisati possessori di un modo d’esprimersi che stona con le vicissitudini del loro habitat, selvaggio, incontaminato, benché in ogni modo di matrice complessa e degna di ogni pertinente analisi. In parole povere, la loro “parlata” non prepone al sorriso, ma a ulteriori interrogativi sull’integrale validità dell’operazione. E in questo non aiuta, di certo, l’assenza di un reale controcanto umano, nel senso di mancanza un protagonista che col mondo degli umani ne condivide sul serio l’idioma e che marginalizza le proprie azioni al contesto faunistico in proporzione alla pericolosità e alle contraddizioni dello stesso.
Il paradosso è che poi, dopo l’alacre lavorio – durato un secolo! – teso a far sembrare vivi i disegni animati, la Disney sembra qui impegnarsi qui per generare una versione “cartonata” degli animali in carne e ossa. Qualche domanda sull’opportunità di tutto ciò nasce in modo spontaneo.
Poche e irrilevanti, rispetto al contesto generale, sono infine le aggiunte alla sceneggiatura originale; le quali vertono, in prevalenza, l’adduzione di maggiori battibecchi/alterchi bonari di coppia, oltre a qualche orpello, forse evitabile, per arrotondare la durata. Com’è ovvio, su una cosa dobbiamo intenderci.
A questo film resta da dare un giusto e immutabile merito: ovvero, quello di essere fra le pellicole dal tenore più pedagogico fra tutti quelli appartenenti alla meritoria fiumana “rinascimentale” che la Disney pose in atto a cavallo fra gli anni 80 e il duemila.
In sintesi, questa riedizione de “Il Re Leone”, pur costituendo, di certo, un buon prodotto, soprattutto dal punto di vista visivo (oltre che senz’altro capace di provocare la giusta attrattiva sul pubblico più giovane), non ha la forza di scalzare l’originale dal trono sul quale il pubblico lo posò, e a giusta ragione.
Anzi, in chi aveva avuto il privilegio di gustarselo “live” cinque lustri fa, non potrà che scatenare anche un moto di romantica, e motivata, nostalgia.