Nella notte tra lunedì e martedì, nel quartiere Chiaia, un ragazzino di 11 anni ha lasciato la vita poco dopo la mezzanotte con un volo nel vuoto dal decimo piano di un palazzo della Napoli bene.
La storia è insopportabilmente triste non solo per la tenerissima età della vittima ma per la sua ormai rivelata vulnerabilità tenuta ben nascosta agli occhi di tutti, amici, insegnanti, famiglia che dipingono un ragazzo sereno, tranquillo, bravo a scuola, diligente e completamente integrato.
Lo spettro su cui sta investigando la magistratura che ipotizza il reato di istigazione al suicidio potrebbe svelare la presenza di una “challenge” ovvero un gioco fatale seguito sul web fatto di step sempre più pericolosi attraverso l’immagine di “guide” spaventose che suggeriscono forme di autolesionismo o prove di coraggio senza senso che pongono a rischio persino la vita di chi entra in loro contatto.
Sul tema, bisogna essere particolarmente cauti.
C’è chi nega l’esistenza di queste trappole nel web, definendole ormai vere e proprie fake news, bufale montate dal mondo virtuale ma di fatto mai scoperte davvero; c’è chi ritiene allora possano esserci altre motivazioni.
La vita del ragazzo, le sue abitudini sul web e i suoi supporti elettronici sono scandagliati in queste ore decisive dagli inquirenti per andare a fondo della realtà – anche delle sue attività e ricerche social.
Pare che l’undicenne abbia modificato le password negli ultimi giorni e questo farebbe temere che qualcosa legato alle dinamiche delle relazioni social possa essere entrato in gioco, ma in che misura e con quale forza incisiva al momento non é dato saperlo.
Indubbiamente, le sue ultime parole affidate ad un messaggio inviato – secondo quanto pare sia trapelato da fonti vicine alla famiglia – alla madre pochi istanti prima del suo addio alla vita denunciano una paura spaventosa nei confronti di qualcosa di brutalmente misterioso e oscuro, descritto come un uomo col cappuccio che lo avrebbe perseguitato, impaurito, minacciato.
Di qui, il collegamento con l’ipotesi di un tragico gioco fatale che, peraltro, é scaturito da contenuti e immagini rintracciate nelle chat scolastiche delle mamme che trattano il caso del cd. Jonathan Galindo, in pratica un uomo con il viso truccato da Pippo, molto inquietante e ben lontano dall’immagine goliardica di atmosfera disneyana.
La maschera, per una cattiva ironia della sorte, riprende, peraltro, le opere di travestimento operate un po’ per protesta un po’ provocatorie come rappresentazioni artistiche un po’ estreme, del make-up artist Samuel Canini, a cui a partire dal 2017 hanno derubato le immagini in cui lo stesso appare truccato e mascherato da Pippo in versione decisamente horror al fine di realizzarne macabri scherzi.
Quale che sia la verità, resta di fatto fortemente pressante l’esigenza emergente, sempre più emergente di fermarsi e fare una riflessione che compete a noi adulti, veri responsabili di queste sconcertanti storie.
Falliamo tutti di fronte alla morte di un 11enne se sentiamo la responsabilità della mancanza di una educazione al web e alla prevenzione di un suo uso distorto, e alla consapevolezza di un uso monitorato e contenuto di certi mezzi, social, internet, giochi virtuali che sono sì grandi opportunità, relazionali, sociali, di integrazione e di “stare a passo con una sana tecnologia” per tutti e non solo per i ragazzi, ma che purtroppo nascondono anche tante insidie e tranelli subdoli in grado di turbare le nostre vite e indirizzare le nostre scelte, se si pensa anche al drammatico e diffuso fenomeno del cyberbullismo.
Ebbene una sorta di pedagogia del web e una sana educazione al mondo virtuale restano una delle più grandi carenze e deficitarie responsabilità del nostro attuale panorama culturale…a cui occorre porre rimedio se si vogliono tutelare i giovanissimi sempre più travolti dagli incubi di certi meccanismi perversi di Internet.
Il dramma del ragazzino napoletano spaventa tutti noi perché il silenzioso abbandono nel nulla è avvenuto per mano di un piccolo insospettabile giovane a disagio che anziché aprirsi alla vita ha deciso di porvi fine senza rivolgersi agli adulti per chiedere aiuto o per denunciare il proprio turbamento.
A mezzanotte, inquieto e sveglio, con a disposizione il suo smartphone, qualcosa o qualcuno lo ha convinto o terrorizzato di qualcosa…utilizzando argomenti particolarmente convincenti perché un ragazzino di 11 anni conosce bene la differenza tra bene e male, giusto ed ingiusto a meno che non sia stato soggiogato psicologicamente da chi ne conosceva bene le debolezze e fragilità.
Ma sono tutte illazioni senza riscontro nella realtà…gli interrogativi sono infiniti come la volontà disperata di poter premere un tasto di rewind e annullare quel momento…cancellarlo e impedire che una vita così preziosa andasse persa.