Ci sono storie che fanno sognare e storie che fanno riflettere.
Ci sono racconti strappalacrime, ed altri che ti inducono a una riflessiva commozione.
Indovinate un po’ dove si attesta Wonder, film di rara grazia espressiva e dai significati profondi.
La pellicola è liberamente tratta dal libro scritto nel 2012 da R.J.Palacio, finalista del premio Andersen 2014. In tal senso, val la pena soffermarsi su qual ne sia stata la genesi: un giorno al parco, insieme ai figli, l’autrice incontra una bambina affetta dalla Sindrome di Treacher Collins e, istintivamente, si alza di scatto dalla panchina e va via, nel timore che il figlio minore possa spaventarsi e lasciarsi andare a un commento sconveniente.
Il romanzo nasce proprio da questo: Una sorta di “atto di riparazione” che l’autrice ha ritenuto doveroso, spinta dal profondo turbamento interiore; connesso a un momento di profonda quanto evitabile insensibilità. Per la serie: A lungo andare, la coscienza non fa sconti.
Fatta questa opportuna premessa, veniamo quindi alla trasposizione cinematografica.
Il piccolo Auggie Pullman – interpretato da Jacob Tremblay – nasce con una grave tara, fisica e psicologica. Una grave malattia – l’anomalia cranio-facciale di cui parlavamo prima -, che lo costringerà a 27 interventi chirurgici per ricomporre, benchè alla meglio, l’aspetto del suo viso.
La madre, interpretata da una solare Julia Roberts, gli fa da insegnante fino ai dieci anni quando, congiuntamente al marito, un Owen Wilson perfettamente a suo agio nei ruoli “a conduzione familiare” (ricordiamo, in proposito, la sua interpretazione in Io e Marley del 2008, ben coadiuvato da Jennifer Aniston) viene presa una delicata decisione. Rompere gli argini della prudenza e mandarlo, per la prima volta, verso un contatto stabile con il mondo esterno. Sarà iscritto, fra mille combattimenti interiori, alla Scuola Media.
Il piccolo dovrà deporre definitivamente nel ripostiglio il suo casco di astronauta (anche se, in realtà, il papà glielo nasconderà nel proprio ufficio), sotto il quale aveva sempre trovato rifugio quale custode del suo “segreto”.
Ed ecco il confronto con gli insegnanti e i compagni. Auggie dovrà imbattersi, e sin da subito, con episodi di violenza psicofisica e con quel qualcosa ancora privo d’un antidoto stabile: ll bullismo.
Foglietti con disegni e parole poco gentili aventi a tema il suo aspetto (“Fai un favore a tutti e crepa”) lasciatigli sul banco e sull’armadietto da giovinastri di cui lo spettatore, sin da subito, non può che auspicare un rapido ravvedimento. Scene, purtroppo, assai frequenti anche nella realtà dei giorni nostri e che fanno male al cuore. Ma, proprio per questo, più vere e fonte di reale stimolo verso una fase di analisi e di critica per lo spettatore.
Auggie diverrà consapevole di tante brutture, delle quali fino a quel momento era al corrente solo grazie alle narrazioni di chi lo aveva già avvisato. E che ora, da quando è a scuola, può toccare con mano. Suo malgrado, e pur supportato, istante per istante, da una famiglia che lo ama.
C’è infatti anche chi lo “accoltella” alle spalle, proprio nella notte di Halloween (l’unica dell’anno dove Auggie si sente normale), e il piccolo passa rapidamente al profondo dispiacere per essersi lasciato andare alla speranza che poteva esistere chi volesse essergli sinceramente amico. Si rintana dai premurosi genitori, che non hanno bisogno di chissà quali spiegazioni per capire cosa gli sia successo.
Tuttavia, a fronte di scene molto crude e d’impatto, uno dei temi rilevanti del film è il rammarico. Ovvero quello provato, in maniera genuina, da almeno un paio di personaggi che orbitano intorno al bambino, sinceramente dispiaciuti per essere caduti così in basso. In proposito, il personaggio di Jack Will, cioè il ragazzino che, dopo averlo tradito, fa di tutto per riprendersi l’amicizia di Auggie, incluso l’azzuffarsi con Julian Albans, il bulletto smanioso che è solito vessare Auggie, è delizioso.
Così come è del pari delizioso anche il personaggio della sorella Olivia; la quale, forgiata negli anni dalla piena coscienza di non poter pretendere eguali attenzioni da parte dei genitori rispetto a quelle che, com’è ovvio, vengono fornite ad Auggie, si ripone dignitosamente in un angolo; tuttavia rivelandosi in grado di costruirsi pian piano un proprio decoroso percorso di vita. Che sfocerà in un insospettabile interesse per il teatro, oltre che qualificarsi nell’amore vero di un ragazzo che sembra conoscerla da una vita.
In questo bailamme di passioni di segno opposto, Auggie saprà comunque farsi apprezzare e il vento spirerà a suo favore. Perché, in fondo, è lui il ragazzo speciale, che può contare sull’amore di una famiglia vera, di cui resta fulcro imprescindibile e anima. Un bambino che guarda alle stelle come il regno da conquistare, al punto che Chewbecca di Star Wars è il suo migliore amico immaginario.
La narrazione a più voci stempera il pathos e dirotta spesso il focus dal personaggio principale, regalando ampiezza e molteplicità di vedute alla pellicola, che approccia al tema del “meraviglioso” con prudenza e realismo, non scadendo mai nell’auto-compiacimento e nella commiserazione.
Due parole sul bullismo, una delle piaghe della nostra società, che in troppi fanno finta di non vedere con adeguatezza o errano nel legarlo a non meglio precisati fattori di “crescita”, adducendo invero la sua sussistenza a una diversità di tempi di sviluppo della personalità dei singoli.
Bullismo che, in questo film, e per larghi tratti, si respira acre come il fumo di una ciminiera. In particolare, c’è una scena che davvero – se questo era lo scopo del regista – innervosisce (l’ho seguita con i pugni serrati, tanto per darvi un’idea), quanto dovrebbe indurre alla riflessione tanti padri e madri poco avveduti in tal senso.
Ad un certo punto, convocati dopo che gli atteggiamenti del figlio avevano fatto traboccare la classica goccia, un paio di genitori, pur al cospetto del preside (e sotto i riflettori di una sconcertante evidenza bullista), mostrano il barbaro coraggio di giustificare le squallide azioni del figlio; ponendosi, quindi, come principali colpevoli degli sconvenienti atteggiamenti vessatori di quest’ultimo.
Ecco, così vorrei concludere, senza nessuna pretesa di conseguire chissà quali rilevanti scopi pedagogici. Tuttavia avendo pieno titolo a discuterne, laddove genitore.
Se non iniziamo dalle nostre case a reprimere certi fenomeni, è chiaro che non verremo mai a capo di certe storture, che vanno deliberatamente combattute in via preventiva.
Un film come Wonder, un film che abbina grazia e bellezza a un lieto fine non scontato – bensì strutturato in forza di un narrato pregno di significati – andrebbe proiettato nelle sale cinema di tutte le scuole. A valle dello stesso, andrebbe immediatamente sottoposto un test scritto agli studenti. Perché certe domande vanno poste a caldo. E parimenti a caldo andrebbero soppesate talune risposte. Chissà, potremmo forse “cambiare” le teste ai tanti Julian Albans che purtroppo girano, talvolta indisturbati e impuniti, nei nostri istituti scolastici. E che provocano danni di natura psicologica non irrilevanti, sovente anche in prospettiva, nelle anime di tanti ragazzi.
A buon intenditor, poche parole. E parlo più ai genitori che ai figli.
Sperando, magari proprio con questa recensione, di trovare il maggior numero di orecchie sturate.