Nel lunghissimo elenco dei figli illustri di Napoli, dobbiamo annoverare anche coloro i quali hanno assunto alte cariche istituzionali nella guida politica del Paese. In tal senso, sicuramente da menzionare è Giovanni Leone, che, nato nel capoluogo partenopeo il 3 novembre del 1908, fu il secondo Presidente della Repubblica di origini napoletane dopo Enrico De Nicola, il quale, peraltro, fu il primo in assoluto a sedere al Colle.
Dopo essere stato eletto dalle Camere la vigilia di Natale del 1971, Leone giurò da Presidente della Repubblica proprio il 29 dicembre. In questa data, pertanto, ci sembra doveroso, sulla nostra testata, ricordare questa importante figura storica, ripercorrendo le tappe della sua carriera istituzionale.
Dopo aver conseguito la laurea in Giurisprudenza nel 1929 e quella in Scienze politiche sociali nel 1930, entrambe all‘Università “Federico II”, Leone divenne professore di “Diritto e procedura penale” e insegnò in diversi Atenei, quali quelli di Camerino, Messina, Bari, Roma e la stessa Napoli. Giurista di elevatissimo spessore, egli si distinse pure nella professione di avvocato penalista, nonché nella stesura di tantissime pubblicazioni giuridiche; scrisse, tra le altre cose, un manuale di Diritto penale molto apprezzato e, nel 1955, contribuì a riscrivere il vecchio codice di procedura penale, il cosiddetto codice Rocco.
La sua attività politica iniziò, nel 1944, con la Democrazia Cristiana, per la quale, nel 1945, divenne Segreterio politico del Comitato napoletano. Con la Dc, venne poi eletto, nel 1946, all’Assemblea Costituente, in seno alla quale contribuì alla stesura di quella che è la nostra Costituzione, soprattutto, in qualità di relatore, per quanto attiene il titolo concernente la Magistratura.
Dal 1955 al 1963, Leone fu il Presidente della Camera. Successivamente, egli ebbe pure la Presidenza del Consiglio per ben due volte, ovvero dal 21 giugno al 3 dicembre del 1963 e, poi, dal 24 giugno all’11 dicembre del 1968. Nell’agosto del 1967, il giurista venne nominato Senatore a vita da Giuseppe Saragat, “per aver illustrato la Patria per altissimi meriti nel campo scientifico e sociale”.
A dicembre del 1971, come precedentemente anticipato, il napoletano fu nominato Presidente della Repubblica (il sesto, in ordine di tempo), dopo la più lunga serie di votazioni della Storia; basti pensare che fu eletto al ventitreesimo scrutinio. In realtà, Amintore Fanfani era il candidato ufficiale della Dc, ma questi aveva numerosi nemici all’interno del partito che impedirono la sua elezione. La linea democristiana, pertanto, scelse in un secondo momento Leone. Tuttavia, anche per quest’ultimo, la nomina non fu facile, tanto è vero che furono necessari i voti dell’Msi; un appoggio di estrema destra, dunque, che fu uno dei motivi per i quali venne criticato.
Al Colle, egli si trovò a dover gestire fasi molto delicate del Paese, come la strage di Brescia e quella del treno Italicus e, poi, il rapimento e l’assassinio di Aldo Moro. Su questo caso spinosissimo, come possiamo ricordare, il presidente fu sempre favorevole alla trattiva con le Brigate Rosse, pur di salvare la vita al leader democristiano.
La sua presidenza, come si accennava, fu molto contestata, oltre che dagli oppositori politici, soprattutto sui giornali, dove veniva spesso ritratto come un gaffeur e dove, molto di frequente, veniva persino fatto del gossip inopportuno sulla sua giovane moglie e sui suoi figli. Tra i settimanali, in prima fila vi fu L’Espresso a portare avanti una campagna molto dura nei suoi confronti, in quanto il presidente, nel clima di quegli anni, era ritenuto di destra e con tendenze autoritaristiche.
La vicenda più complessa che lo coinvolse fu quella legata al cosiddetto scandalo Lockheed, per il quale, per via delle accese critiche e delle insinuazioni, Giovanni Leone, su pressione del PCI, decise, con una lettera al popolo, di dimettersi dall’incarico di Presidente della Repubblica. Tuttavia, anni dopo, fu dimostrato dagli organi competenti che egli era totalmente estraneo a ogni episodio poco chiaro e, in tal senso, giunsero pure le scuse del Partito Radicale, il quale, evidentemente sbagliando, fu il più agguerrito contro di lui.
Dopo le dimissioni dal Quirinale, ormai in rotta di collisione con il suo partito, la Dc, che non l’aveva per nulla appoggiato e sostenuto, Leone, da senatore a vita, si iscrisse al gruppo misto. Al Colle, gli succedette prima Amintore Fanfani, ad interim, e poi, dopo nuove elezioni, Sandro Pertini.
Ritirarosi a vita privata nella sua villa a Formello, il napoletano morì, nella capitale, il 9 novembre del 2001.