Premessa: non è assolutamente mia intenzione aggiungere niente sul grande Renato Carosone che non sia già stato evidenziato da Federico Vacalebre (ottimo e sempre attento critico musicale de “Il Mattino”) nel suo “Carosello Carosone” recentemente trasmesso da RAI1 del quale avremo modo di parlare in seguito, e dallo stesso Maestro nella sua autobiografia “Un americano a Napoli”, sempre a cura di Vacalebre. E quindi mi limiterò ad alcune considera-zioni che andranno forse ad integrare, ma forse anche no, quanto scritto e rappresentato in precedenza.
In genere gli inizi carriera di un giovane musicista sono sempre caratterizzati da una serie di “disavventure” artistiche, come quella di trovarsi a proporre le sue cose ad un pubblico maleducato e distratto (quando non contestatore) sempre a causa della solita etichetta di intrattenitore di infimo ordine affibbiata agli artisti nei secoli. Figuriamoci quelli di un giovane Carosone, caratterizzati da un’infanzia dolorosa e un’adolescenza vissuta in periodo di guerra ma nonostante tutto diplomatosi in pianoforte con moltissimi sacrifici al Conservatorio di S.Pietro a Majella, costretto a fare buon viso a cattivo gioco e ad accettare ingaggi anche all’estero, visto il momento storico, pur di iniziare a suonare in giro. A Massaua in Eritrea, per esempio, al debutto in un club per militari italiani ad un certo punto si vide costretto a interrompere lo spettacolo perché il pubblico intempe-rante voleva le ballerine sul palco! Senza minimamente scomporsi il Maestro accompagnò personalmente al piano le evoluzioni danzanti delle ragazze, cosa che contribuì non poco a fortificargli il carattere, se mai ce ne fosse ancora bisogno, ma che evidenziò una volta per tutte la sua straordinaria preparazione al pianoforte.
Ma l’infanzia e l’adolescenza difficili gli avevano anche conferito la capacità, da buon napoletano, di reagire a qualunque tipo di avversità con il sorriso, un innato ottimismo e un’ironia fuori dal comune che a volte sconfinava nell’irriverenza. Ad inizio anni ‘50 infatti Carosone era rientrato in Italia, aveva già conosciuto ed arruolato Gegè di Giacomo e Peter Van Wood e stava iniziando ad affermarsi con le sue canzoni quando nel ‘54 la RAI lo scelse, tra gli altri, per l’inaugurazione in video dei programmi radiotelevisivi. E lui per l’occasione cosa va a pensare? Nientedimeno che proporre “E la barca tornò sola”, ironico reportage caricaturale sulla disavventura in mare aperto di un’imbarcazione di marittimi dopo un naufragio, che per l’epoca poteva rappresentare uno sfregio per un paese appena uscito da una guerra devastante. Qualche dirigente RAI all’oscuro di tutto storse parecchio la bocca ma alla fine il pubblico mostrò di apprezzare l’esibizione della band, forse anche perché per i motivi sopra descritti la gente aveva soprattutto voglia di dimenticare e finalmente divertirsi e ridere.
Ma il Maestro aveva vissuto i suoi vent’anni di carriera artistica in maniera talmente intensa con una guerra in corso, tra esordi difficili, la gavetta in Africa, il ritorno in Italia, le composizioni con Nicola Salerno(Nisa) a getto continuo, l’enorme successo prima nazionale poi internazionale, le lunghe tournèe in Italia e all’estero, le ospitate nelle televisioni in tutto il mondo, persino all’ “Ed Sullivan Show” americano (ormai divenuto vetrina internazionale), che a un certo momento proprio durante una tournèe negli States a fine 1959 capì di averne avuto abbastanza di quel tourbillon pazzesco e di voler tornare ad una vita normale vicino alla sua famiglia, inevitabil-mente trascurata per anni, e dedicarsi alle sue passioni artistiche in maniera meno frenetica e più diluita nel tempo. Non avendo però comunicato niente a nessuno capirete ovviamente il grande stupore e l’amarezza di tutti quando, a settembre 1960 durante la trasmissione “Serata di gala”, comunicò alla conduttrice Emma Danieli la sua decisione di ritirarsi dalle scene, lasciando tutti di sasso. Ora Renato Carosone era assolutamente sulla cresta dell’onda come artista ma, oltre ad una legittima stanchezza fisica, aveva percepito che qualcosa stesse cambiando nel panorama canoro italiano e internazionale con l’avvento di Elvis e dei Beatles dall’estero e soprattutto quello di Domenico Modugno in Italia, trionfatore a Sanremo, ma anche dei cosiddetti “urlatori” come Tony Dallara, Joe Sentieri e Betty Curtis, peraltro un cambiamento non solo canoro ma anche di immagine con ciuffo e capelli lunghi. Probabilmente il Maestro, anche se molto a malincuore, dovette dedurne che per rimanere al passo coi tempi avrebbe dovuto allinearsi a tutto ciò, proprio lui che per primo aveva lanciato tante mode musicali fra cui la fusione tra canzone, jazz, blues, mambo, cha cha, arab… e macchiette caricaturali napoletane, con l’aiuto del grande Gegè di Giacomo. E scelse di smettere all’apice del successo, probabilmente il momento migliore per un artista di ritirarsi dalle scene.
Recentemente RAI1 ha mandato in onda, fortunatamente in prima serata, “Carosello Carosone” di Federico Vacalebre in modalità docu-film stile grande racconto popolare, puntata unica. Esprimendo le mie perplessità in merito alle dinamiche di trasmissione ad amici su Facebook alcuni di loro si sono affrettati a spiegarmi che si trattava di un nuovo modo di fare fiction o narrativa televisiva con nuove tecniche. Personalmente non capisco nulla di nuove tecniche progressiste televisive che anzi, secondo me, vanificano tutto ciò che di buono è stato fatto in passato, ma resto dell’idea che un gigante come Renato Carosone avrebbe meritato una fiction tradizionale spalmata su almeno due puntate. Immagino che, come sempre, il budget messo a disposizione dalla produzione fosse limitato ma secondo me circoscrivere tutto entro un’ora e mezza di trasmissione ha determinato un’eccessiva compressione della narrazione, trascurando proprio per questo alcuni importanti dettagli ed eventi della vita e della carriera del Maestro. Inoltre, specie all’inizio del film, si è saltati spesso da un periodo all’altro senza, però, garantire ai passaggi il giusto filo logico. Insomma, secondo me, non una riduzione televisiva all’altezza per un gigante come Renato Carosone che con la presenza in tv sua e del suo gruppo aveva contribuito moltissimo, assieme ad altri, all’avvio e alla diffusione dei programmi televisivi RAI in tutta Italia. Ma siamo alle solite: ampio spazio al nulla per gli ascolti e confinamento dell’arte e della cultura in spazi angusti con discutibilissime modalità. Avremo modo di riparlarne, nel frattempo un plauso ai bravissimi attori Eduardo Scarpetta e Vincenzo Nemolato, rispettivamente nei panni del Maestro e di Gegè, e a Stefano Bollani autore della colonna sonora e protagonista di un cameo nei panni del maestro di pianoforte.