Si sa che la tv, da sempre, si é preoccupata dei fatti di cronaca più raccapriccianti, con tanto di enfasi e morbosità, entrando e paralizzando, in certo qual modo, la storia dei protagonisti, con la realizzazione di veri e propri processi mediatici al di fuori delle aule dei tribunali.
Se solo si pensa al delitto di Cogne, a Erika e Omar, a Raffaele Sollecito, al delitto di Sarah Scazzi, all’omicidio di Marco Vannini…la tv è divenuta luogo di accusa e difesa, di rivelazioni sconcertanti, di riproposizione di tragici modellini con dinamiche dei fatti spiattellate con un coro di opinionisti e salotti all’ambizioso servizio della scoperta dei fatti.
Sono settimane che assistiamo, inerti e increduli, al tempo stesso, alla saga infinita sulla scomparsa di Denise avvenuta ben 17 anni fa.
Dopo le rivelazioni “choc” di Chi l’ha visto? sulla presunta somiglianza tra una ragazzina russa e la piccola Denise, divenuta una maratona televisiva con tanto di rimpalli tra tv russa – che voleva spregiudicatamente marciare sulla sofferenza delle persone coinvolte alla ricerca di scoop e suspense – e italiana, in breve vanificandosi, si sono riaccesi incredibilmente i riflettori su una storia drammatica, se non dimenticata, un po’ accantonata.
Pionieri di questa nuova caparbia ricerca della verità le trasmissioni rai, di tutte le reti, che con un rimpallo tra una trasmissione all’altra e l’esclusività di avere i protagonisti della vicenda nelle diverse dirette quotidiane, in un unicum di programmazione, pedissequamente seguito dai canali berlusconiani, hanno e stanno raccontando con soluzione di continuità, ininterrottamente, l’avvicendarsi degli eventi, oscurando tutto il resto e dimenticando, per la prima volta, da un anno a questa parte il covid, la pandemia e le litigate così friccicarelle tra virologi e opinionisti e tra virologi stessi.
In queste settimane, la cronaca nera é stata, purtroppo, centrale con il delitto di Avellino ad opera dei due giovanissimi, colpevoli di aver pianificato una strage familiare non interamente riuscita (?!?), la sentenza definitiva dei Ciontoli per la morte di Marco Vannini, epilogo di un processo mediatico che ha, forse, avuto i suoi effetti sulle dinamiche puramente processualistiche, con una condanna rilevante per dolo eventuale (e non colpa cosciente, come in primo grado) su cui, a dire dei protagonisti, avrebbe pesato la sollecitata, spettacolarizzata e partecipata descrizione dei fatti con la conclusione di rendere invisi e odiosi ai più i responsabili della morte del povero Marco (sebbene, purtroppo, la dinamica parla da sé) e gli sviluppi delle indagini a carico di Benno con il costante presidio delle rive del fiume in cerca dei corpi dei malcapitati genitori.
Eppure, la tv ha deciso di abbracciare la crociata di Piera Maggio, quasi si avvertisse nell’aria una speranza, un crollo del muro di silenzio che da sempre ha caratterizzato il rapimento di Denise, una sorta di vulnerabile spiraglio per l’emersione della verità.
E così, giorno per giorno, un susseguirsi di particolari sviluppi…la costituzione di una Commissione d’inchiesta costituita in Parlamento, per accertare come furono svolte le indagini all’epoca e scoprire eventuali falle e depistaggi, con sottofondo le rivelazioni sconvolgenti ad opera dei magistrati che all’epoca seguirono il processo e che parlano di ambiente inquinato e di “muro di omertà” che non avrebbe garantito la nitidezza e segretezza delle indagini e, di conseguenza, un giusto processo con la conquista della verità dei fatti, visto che non é emersa alcuna verità processuale se non quella scalfita nelle parole della Corte di Cassazione, che, pur assolvendo i sospettati, gli indagati, sigilla la scomparsa di Denise come frutto di una vendetta per dinamiche familiari, senza però, che siano state trovate le prove, le uniche in grado di condannare una persona e, infine, su tale scia, la scoperta lapalissiana della riapertura delle indagini in quanto avvenuta a favore di telecamere.
E così, in una diretta televisiva, parte una notizia Ansa terrificante che si starebbe cercando il corpo di Denise nella vecchia casa di una delle, a suo tempo, indagate.
Non si comprende sinceramente se la platealita’ del racconto sia stata voluta dalla Procura per ribadire e avvisare Mazara che le indagini sono ufficialmente riaperte ovvero sia dovuta ad una fuga indiscriminata di notizie.
Certo, il giorno prescelto aveva una visibilità televisiva fortissima con la fiaccolata serale organizzata per Denise in diretta tv e la città siciliana assediata da giornalisti e tv…scelta assolutamente legittima della madre di Denise che imperterrita persegue la verità sulla scomparsa di sua figlia.
Ora da qui al diritto – dovere di cronaca ce ne passa…
Restare con le telecamere fisse sui carabinieri, sui pompieri, sul pozzo del garage con la botola aperta in diretta da due “sprovveduti” ma disinvolti nell’agire, carabinieri è davvero duro da digerire…soprattutto perché il commento che accompagnava il racconto era la consapevolezza che, dopo 17 anni di certo non poteva cercarsi un vivo, bensì resti e indizi sulla povera Denise.
Come sia possibile che nessuna televisione abbia rinunciato a cavalcare l’onda dell’ascolto e della curiosità inevitabile degli spettatori, curiosità non necessariamente negativa perché è chiaro che l’attenzione é spontanea e umanamente giustificabile…ma la visione terrificante dei pompieri con le scale che si addentrano nel pozzo, il presidio consistente di forze dell’ordine, la mancanza di sensibilità nei confronti dei familiari o forse, meglio dire, nei confronti di tutti, vittime e anche presunti carnefici, sono stati pesanti da digerire.
La Procura, probabilmente, ha sbagliato o, forse, volutamente, ha sbagliato per esibire un agire, un fare a fronte delle accuse di omertà, silenzi, connivenze e depistaggi ma ha decisamente esagerato e la tv é stata una alleata spregiudicata e indelicata.
Io mi chiedo da giorni e se davvero ci fosse stato il sospetto di un crimine odioso…di un epilogo tragico…cosa sarebbe successo? La zona sarebbe stata sgombrata o avremmo continuato ad assistire ad un reality…con riprese aeree, laterali, da ogni possibile punto di vista.
Assurdo che un’attività di indagine avvenga in piazza quando ciò che va garantita costituzionalmente per tutte le parti in causa è la sua totale segretezza per agire senza interferenze né ingerenze.
Fuoriesce una immagine un po’ sfocata o forse meglio dire, fuori fuoco sia della giustizia che a distanza di 17 anni non “rende per l’appunto giustizia” ad una madre disperata né le consegna alcuna forma di verità sia dell’informazione che è stata vittima di se stessa, travolta dalla foga di raccontare tutto, fin nei minimi dettagli, trascurando protagonisti e antagonisti che vengono stravolti e perseguitati dalle telecamere.
In questo caso, pur se in discussione sono le falle del sistema giustizia, sta di fatto che, in primo piano, con sottintese accuse e, neanche tanto velati sospetti, il dito viene puntato nuovamente contro le stesse identiche persone, prosciolte e assolte in passato, con un nuovo rischio di inquinamento e con una vera gogna mediatica che lascia spazio a numerose perplessità su ciò che non é stato fatto.
Ed, infatti, laddove i “cattivi” della storia parlano, accusano la tv ovvero una certa tv di un patteggiamento non deontologicamente ammissibile per i giornalisti, che dovrebbero limitarsi ad un asciutto racconto dei fatti di cronaca e non a scoop ed esclusive che nulla aggiungono anzi spesso possono contribuire a togliere dignità a tutte le parti in causa, anche le stesse vittime, laddove in diretta tv assistiamo a ricerche di muri sospetti, di stanze segrete o di pozzi profondi che avrebbero potuto inghiottire una piccola vita e la sua storia.
Nel caso di Ciontoli, é proprio di questa settimana lo sfogo del pater familias, Antonio, che ha accusato una trasmissione specifica, di aver manipolato le intercettazioni ambientali e pilotato una opinione pubblica, indignata dai fatti, così come narrati in quel contesto che avrebbe influito, poi, sulla decisione dei giudici e sulla condanna, anche consistente per i suoi familiari conniventi ma, non personalmente responsabili, dell’esplosione del mortale colpo di pistola pur col dubbio eterno che la verità processuale possa mai corrispondere alla verità storica o se, invece, l’ha dissimulata.
Il suo sfogo, senza entrare nel merito della sua fondatezza, pone sicuramente dei forti dubbi rispetto all’operato della tv, che si ritiene oggettiva ma, invece, diviene persecutoria e che quando si accanisce, può degenerare in forma violenta di comunicazione e informazione.
É giusto e doveroso condividere le notizie dei grandi processi, descrivere e disvelare i segreti di misfatti e delitti, quando siano stati accertati processualmente, nella dialettica garantista, costituzionalmente prevista, tra le parti, non abbandonare le storie disperate che non hanno avuto ancora una soluzione…ma é assolutamente indispensabile anche per i grandi professionisti capire quando spegnere telecamere e riflettori su delicati frangenti di vita delle persone.
Da un punto di vista della comunicazione im senso stretto, non può non far riflettere come nel caso di specie, anche in altri, l’apporto della televisione è stato determinante per tenere viva l’attenzione e ottenere una risposta ad una richiesta insaziabile di giustizia…e Piera Maggio, da sempre abbracciata con calore dalle trasmissioni di mamma Rai sotto la protezione speciale della Sciarelli, è divenuta un elemento partecipativo e attivo della narrazione televisiva.
Non ha solo utilizzato legittimamente la tv per cercare sua figlia come previsto anche dalla legge sulla ricerca e denuncia delle persone scomparse ma é divenuta interlocutrice diretta con istituzioni, esperti e giornalisti, in molti casi ben più carismatica e incisiva degli stessi giornalisti, ottenendo e pretendendo un servizio pubblico che, forse, anzi sicuramente, grazie alla sua caparbia determinazione ha aperto un varco e ha spinto la Procura a rivedere le proprie carte e il proprio operato.