È arrivata, la scorsa settimana, la sentenza di condanna definitiva all’ergastolo per Ciro Guarente, il 36enne che, nel luglio del 2017, ha barbaramente assassinato Vincenzo Ruggiero, cercando poi, con dinamiche efferatissime e agghiaccianti, pure di occultarne il cadavere. Il movente dell’omicidio tanto feroce è stato, ormai è certo, la gelosia malata che l’uomo nutriva nei confronti della sua ex, una ragazza transessuale, la quale aveva semplicemente scelto di andare a convivere con il suo amico, ad Aversa. Alla base, dunque, vi è, anche per questo caso, quella dimensione patologica del possesso, che mai deve essere confusa con l’amore, e della violenza di genere, con l’annessa incapacità di accettare le libertà di una donna. Siamo dinanzi, per intenderci, seppure in una forma diversa, alle stesse ragioni che, ogni anno, rendono il numero dei femminicidi spaventosamente alto nel nostro Paese.
È passato, dunque, più di un anno dalla tragica scomparsa del giovane, al quale, proprio lo scorso luglio, è stato dedicato il Napoli Pride, con la decisione lodevole di invitare, come madrina d’onore, la sua mamma. Vincenzo, infatti, era un attivista per i diritti LGBT, in prima linea per la difesa delle istanze della sua comunità.
Vogliamo ricordarlo anche noi, ora che, almeno sul piano della legge, giustizia è stata fatta. Noi che, da giornalisti, non possiamo dimenticare e dobbiamo cogliere l’occasione anche per esprimere, ancora una volta, condanna e disappunto per il modo becero con il quale fu trattato l’episodio da tutte le principali testate, persino da quelle più autorevoli. “Delitto a sfondo gay, Omicidio gay, Gay ucciso, Morto un gay, Lui l’altro e la trans”. Questi furono i vergognosi titoli della stampa italiana, tutta morbosamente concentrata sull’orientamento sessuale della vittima o anche sul genere della ragazza coinvolta, donna transessuale.
Fosse stato ammazzato un eterosessuale, secondo voi, avremmo letto titoli del tipo: Omicidio etero?
È evidente che parlare di omosessuali, sbattere in prima pagina vicende di cronaca nera che li vedono coinvolti, nel Paese dei Family Day e delle messe riparatrici dopo i Pride, genera ancora quel clamore che si rivela una bieca opportunità per il giornalismo più spicciolo. Evocare i “torbidi ambienti gay”, come se gli anni Sessanta non fossero mai finiti, come nel caso dell’assassinio di Pasolini, continua a suscitare, ancora oggi, quello scandalo di matrice omofoba, che si rivela utile solo per chi vuole lucrare sulle tragedie.
Noi da parte nostra ci impegneremo, nel più totale rispetto, affinché il ricordo di Vincenzo viva sempre. In tal senso, al di là di ogni chiacchiera, crediamo, nel nostro piccolo, che il modo migliore per onorare la sua memoria sia quello di abbracciare, ogni giorno, quelli che sono stati il suo esempio e il suo impengo: la lotta all’omofobia.