La forma dell’acqua è l’ultimo film sfornato dal regista messicano Guillermo Del Toro. Il film è stato candidato ben quattordici premi Oscar, tre dei quali direttamente a lui (miglior regia, miglior sceneggiatura originale e miglior film), oltre ad aver già conquistato il Leone d’Oro a Venezia (assieme al ruolo di presidente di giuria per la prossima edizione) e il Golden Globe per miglior regia e un meritatissimo premio per miglior colonna sonora, a cura di Alexandre Desplat, che aggrazia la narrazione.
E’ l’inizio degli anni ’60, a Baltimora. Gli Stati Uniti vivono uno dei loro periodi più frenetici: guerra fredda, razzismo e diritti civili, il preludio di quello che sarà il ’69, guerra in Vietnam e questa tensione verso il futuro che sembra così vicino (i parallelismi all’America di Trump non sono casuali). Ed in questa America si muove Elisa Esposito (interpretata con grazia e tatto da Sally Hawkins), una donna muta dall’infanzia, che ha trovato il suo umile posto nella società lavorando come donna delle pulizie in un laboratorio governativo teso a contrastare l’avanzata tecnologica sovietica. I due unici amici di Elisa sono come lei, gli umili, gli emarginati: Zelda Dalila Fuller (Octavia Spencer), una afroamericana divisa tra casa e lavoro e Giles (Richard Jenkins), un illustratore pubblicitario, licenziato per colpa della fotografia e per la sua omosessualità. La sua vita, fatta da uova e autoerotismo, prende una piega inaspettata quando nel laboratorio verrà trasportata una creatura anfibia (Doug Jones), proveniente dalle amazzoni, per un progetto gestito dal colonnello Richard Strickland (Micheal Shannon, insuperabile nel farsi odiare).
Il film riprende tutti i temi risaputamene cari al regista. E’ risaputa la sua passione per i mostri, alla quale si aggiunge la sua ispirazione per il film: Il mostro della laguna nera, l’iconico horror del 1954 che ha visto all’età di 7 anni. Del Toro ha affermato:”Il mostro era il design più bello che abbia mai visto […] L’ho visto nuotare sotto Julie Adams e ho adorato che fosse innamorato di lei, e ho provato un desiderio fortissimo che alla fine finissero insieme”. Questo fascino è sintomo di un obbiettivo più ampio: l’elogio degli imperfetti, per contrastare l’ossessiva ricerca della perfezione. Ricerca che spesso si incarna in funzionari di politiche fasciste e/o persone di potere, ne Il labirinto del Fauno (2006) prende forma in un generale della dittatura di Franco in Spagna e qui si incarna nel colonnello Strickland, spietato e ambizioso, mostra la sua inquietudine già dalle prime scene.
Un altro grande interesse di Del Toro è l’horror (egli è anche un grande ammiratore di H.P. Lovecraft e ha anche tentato di adattare un suo romanzo al grande schermo). Spesso il genere ritorna, sia nel già menzionato Il labirinto del Fauno, che in Cronos (1993) o Mimic (1997). Più nello specifico ad affascinarlo è la suggestione poetica che si viene a sviluppare quando il genere si commistiona con elementi sottratti al fantastico. E la stessa operazione di mescolanza si ritrova tra i generi: il regista si prende cura di raccontarci una storia, senza focalizzarsi in che etichetta farlo rientrare: ritroviamo così un film che riesce a saltare dal noir politico, alla storia d’amore, al realismo magico (termine che se non fosse già coniato si dovrebbe coniare per lui).
Un film densissimo, ma che stimola alla riflessione solo in un secondo momento, dopo aver digerito il film. In sala si è solo attratti magneticamente dalla narrazione, che anche se parte un po’ lenta sa ingranare bene. I toni romantici, a volte persino alleniani, sono accompagnati da luci tenui che gravitano tra ambra e turchese e da una raffinata colonna sonora jazz da salottino francese. Dunque La forma dell’acqua è un film politico, un invito alla tolleranza, una romantica e tenera storia d’amore, un thriller, un capolavoro.