Piazza Plebiscito, da un lato chiusa dal Palazzo Reale e dall’altra dalla Basilica di San Francesco di Paola, è certamente la piazza più caratteristica di Napoli.
Palazzo Reale ne occupa una vasta area affacciandosi da una parte sulla splendida Piazza e con il retro sul mare. Alla sua costruzione e restauri parteciparono i migliori architetti delle loro epoche quali Domenico Fontana, Gaetano Genovese, Luigi Vanvitelli, Ferdinando Sanfelice e Francesco Antonio Picchiatti che vi realizzò il primo scalone d’onore.
Ospitò i Viceré Spagnoli per oltre centocinquanta anni, i Borbone dal 1734 al 1861 per poi, all’inizio del XIX secolo, diventare la residenza dei francesi con Giuseppe Bonaparte e Gioacchino Murat.
In principio la facciata del Palazzo aveva 19 arcate, la più grande delle quali fungeva da ingresso fino a quando Luigi Vanvitelli, per questioni di stabilità, decise di chiuderle ricavandone solo otto nicchie che nel 1888, Re Umberto I, fece riempire con altrettante grandi statue, commissionate a diversi grandi scultori, che rappresentavano i capostipiti delle dinastie che avevano regnato in città. Guardando il Palazzo, con le spalle alla Basilica di San Francesco di Paola, possiamo vedere: da sinistra verso destra come prima la statua del re Ruggiero II il Normanno, poi a seguire la statua Federico II di Svevia, la statua di Carlo I d’Angiò , Alfonso V d’Aragona, Carlo V d’Asburgo, Carlo III, Gioacchino Murat . L’ultima statua è quella di Vittorio Emanuele II di Savoia, re d’Italia dal 1861 al 1878
La storiella dei Re di Palazzo Reale
Sembra che quando furono realizzate le statue ,queste non piacessero a molti dei napoletani. Pare quindi che per questa ragione il popolo napoletano prese di mira le suddette statue, inventandosi la famosastoriella che vede protagonisti gli ultimi quattro Re.
Un racconto che si è tramandato fino ai giorni nostri.
Carlo V d’Asburgo, rappresentato con il dito rivolto verso il basso, si disse che chiedesse: “Chi ha fatto pipì per terra?” e Carlo III rispondesse a tono: “Io non ne so niente”. Gioacchino Murat, rappresentato con lo sguardo fiero, rispose “Sono stato io e allora?” e Vittorio Emanuele con la mano sulla spada esclama: “E allora te lo taglio!”.