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© 2022 Senzalinea testata giornalistica registrata presso il Tribunale di Napoli n. 57 del 11/11/2015.Direttore Responsabile Enrico Pentonieri
Psicologia

Sindrome della capanna: la difficoltà nel tornare a vivere.

Maria Francesca Musto
Maria Francesca Musto 3 anni fa
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4 Min Lettura
©Lacronacadiverona
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Dopo il lockdown molte persone hanno avuto o hanno ancora difficoltà a uscire e riprendere la vita di prima. Molti psicologi hanno definito questa condizione come la sindrome della capanna o anche sindrome del prigioniero, inteso come una volontà di rimanere al sicuro nel proprio rifugio . La sindrome della capanna non è considerata una malattia ma “un insieme di aspetti comportamentali e psicopatologici legati a condizioni specifiche”, molto spesso associata a un lungo periodo di isolamento. Quindi è da considerarsi una reazione normale a una situazione particolare come quella dell’isolamento.

©Paginemediche

I sintomi più comuni sono:

  • Paura ad uscire
  • Letargia
  • Sintomi cognitivi: scarsa memoria, scarsa concentrazione
  • Demotivazione
  • Sintomi emotivi: irritabilità, paura, angoscia, frustrazione.

 

Le sue origini risalgono al 1900, epoca della corsa all’oro negli Stati Uniti durante la quale i cercatori erano costretti a passare mesi interi all’interno di una capanna. Dovendo concentrare la loro attività in determinati periodi dell’anno, vivevano uno stato di isolamento seguito da sentimenti di paura, rifiuto di tornare alla civiltà, sfiducia nei confronti del prossimo, stress e ansia.

©Ivg

Tra le cause della diffusione della sindrome della capanna  dobbiamo considerare che molte persone in questo periodo di quarantena non ha vissuto male la situazione di essere bloccati in casa, riscoprendo interessi, l’importanza di dedicare tempo a se stessi e alla famiglia. Inoltre c’è da dire che il coronavirus non è scomparso, il rischio di contagio c’è e questo spaventa nelle uscite rischiando di essere contagiati e contagiare anche le persone care. Non solo, sicuramente l’aria che si respira al di fuori del proprio rifugio è pesante: persone con mascherine, distanziamento sociale e disinfettanti in ogni negozio e locale non contribuiscono a dare quel senso di sicurezza che invece si percepisce tra le proprie mura.

©Ilmessaggero

Situazione opposta a quella della sindrome della capanna è il fenomeno della movida, e potrebbero essere considerati agli estremi di un continuum: da un lato la movida è negazione del rischio pandemico, dall’altro la sindrome della capanna è una fobizzazione di fronte a un pericolo che viene visto come enorme, pericoloso, incontrollabile.

©MilanoToday

Come superare la sindrome della capanna?

  • Accettare le proprie emozioni riconoscendo che è una fase, quindi darsi tempo.
  • Stabilire degli obiettivi, meglio se graduali. Quindi inizialmente uscire nei pressi di casa, meglio se accompagnati da qualcuno di cui ci fidiamo, poi successivamente allontanarsi sempre più dal proprio rifugio.
  • Organizzare una routine giornaliera
  • Sapersi ascoltare: comprendere se questi disagi legati alla sindrome della capanna sono solo legati alla situazione pandemica oppure è la situazione pandemica che ne ha facilitato l’insorgenza, e in quel caso valutare l’aiuto di un professionista.
  • Trasformare in positivo quanto accaduto, un aspetto fondamentale che fa parte del concetto di resilienza, e riflettere sugli insegnamenti che hanno portato questa situazione. Gradualmente riapprezzare molte delle cose che prima davamo per scontate, come ad esempio, una passeggiata, e comprendere il valore degli affetti e l’importanza anche solo di un abbraccio.

    ©Facciounsalto

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Maria Francesca Musto Mag 30, 2020
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Pubblicato da Maria Francesca Musto
Dottoressa in logica e metafisica alla Normale di Parigi, traduco la mia meraviglia per il mondo in prodotti editoriali. Credo che la parola e il pensiero siano strumenti privilegiati per comprendere la realtà e che il cinema sia una porta su universi paralleli.
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