Méliès. Méliès. Ancora Méliès. Questo nome continua a seguirmi da alcuni giorni. Così poco conosco di lui in fin dei conti. “È uno dei padri fondatori del cinema”, “È il primo regista della storia” o, più verosimilmente, “È quello della Luna!”. Di rado sento descrizioni più accurate. Ricordo d’un tratto che anni addietro Scorsese diresse un film su parte della sua vita, Hugo Cabret. Nonostante i buoni intenti e le ottime critiche non ho mai avuto il tempo di vederlo. Quel tempo è decisamente arrivato. Apro il fidato Netflix ma nonostante fosse in catalogo, da un paio di mesi il titolo è stato rimosso per far spazio ad una nuova serie di dubbio gusto. Scelgo all’ora la via oscura: lo streaming illegale.
Sulle immagini introduttive spengo le luci per creare l’atmosfera che merita il regista Newyorkese. Pochi fotogrammi e dal portafogli poggiato accanto al televisore inizia a filtrare uno strano bagliore giallastro. Lo apro e mi rendo conto che il misterioso biglietto è circondato da un’aura luminescente, quasi si fosse “attivato” in qualche modo. Con timore allungo le dita per estrarlo, ma appena il polpastrello dell’indice destro lo sfiora, tutto si fa nuovamente buio.
Caos, frastuono, concitazione. Rinsavisco nel bel mezzo di una stazione ferroviaria. Osservo con attenzione nel tentativo di orientarmi e un’insegna subito viene in soccorso: “Gare de Paris-Montparnasse”. Il nome della stazione non mi suona affatto nuovo. Eureka! Qui nel 1895 avvenne l’incredibile deragliamento del treno! In questo periodo la capitale francese è decisamente il teatro prediletto dei miei sogni. Assecondo questa fantasia senza combatterla, iniziando a gironzolare fino a quando non mi si parano davanti quei due baffi inconfondibili in fondo ad un corridoio. Il colore bruno è completamente svanito per lasciar posto ad un bianco uniforme, ma sono di certo loro. Méliès! Affretto il passo con entusiasmo per salutarlo, ma il suo volto è grave, ben distante dall’aria di serenità e fiducia nel futuro che aveva quando lo incontrai quella notte d’inverno. Devono essere passati molti altri inverni per lui, penso, e devono essere stati rigidi per segnargli in volto quell’espressione.
Esordisco con un poco consono “Cercavo proprio lei Signor Méliès!”. Le barriere linguistiche anche a questo giro non esistono poiché sorride amichevolmente, anche se non sembra ricordare il precedente incontro. È intento a riparare una piccola automobile all’interno di un ancor più piccolo negozio di giocattoli. In pochi minuti risolve il problema, per la gioia di un bambino che corre via felice dai genitori. Non ci sono altri clienti e spero possa dedicarmi qualche minuto, del resto conoscerlo era proprio l’intento iniziale. Seduti in un caffè la prima domanda che mi balena è anche la più scontata: “I Lumiére le hanno poi venduto i diritti per l’utilizzo del cinematografo?”. Sorride nonostante la risposta negativa: “No monsieur, ma un caro amico di gioventù, Robert W. Paul, inventò un congegno simile, il teatrografo. Con questo ho potuto mettere in scena spettacoli meravigliosi nel mio amatissimo teatro Houdin in boulevard des Italiens! Ah, quel luogo era magico, sempre gremito. Realizzavo tutto a Montreuil, poco fuori città”. In breve Méliès si trasforma in un fiume in piena. “Avrebbe dovuto vedere che costruzione, tutta in vetro, la prima nel suo genere, bellissima! Pensi che potevamo girare anche con la pioggia”.
Ad un tratto gli occhi si fanno più scuri ed appaiono nuove rughe a solcare la fronte. “È tutto perduto, svanito per sempre. Da prestigiatore quale ero avrei dovuto sapere che ciò che appare magicamente, magicamente scompare”. Non voglio che interrompa il racconto e cerco di spronarlo con qualche domanda, sperando di non urtare la sua sensibilità. “Deve sapere, monsieur, che il mio successo fu grande e ben presto in molti vollero impadronirsene. Innumerevoli erano le copie contrabbandate delle mie opere che giravano per il mondo esaltando il pubblico, ma queste se da un lato il pubblico lo arricchivano dall’altro facevano impoverire me sempre più. Nel 1902 girai “Le Voyage dans la lune”, un film straordinario. Spesi 10.000 franchi, un’enormità, ma erano più le copie illegali che quelle autorizzate a girare. Maggiore era il successo, minore era la distanza che si faceva tra me e la bancarotta. Uno su tutti fu un inventore americano, un certo Thomas Alva Edison. Inviò degli uomini qui in Europa per rubare una copia della pellicola che poi distribuì in tutti gli Stati Uniti senza riconoscermi un solo franco. E dire che il mio viaggio nel mondo delle immagini animate ebbe inizio proprio con il suo kinetoscopio”. Si fa ancora più scuro in volto.
“Il colpo di grazia arrivò con l’avvento della Grande Guerra. Sì, Lei pose fine a tutto, strappando i sogni dalle notti degli adulti e dall’infanzia dei più piccoli. Le necessità cambiarono radicalmente tanto che tutte le pellicole furono distrutte per estrarne l’argento. Preso dalla rabbia e dallo sconforto distrussi tutto ciò che poteva ricordare quel mondo oramai perduto irrimediabilmente: i costumi, le scenografie, le maschere, tutto.” Leggo negli occhi che sta lottando per non sprofondare nella tristezza. “Questo piccolo negozio di giocattoli è quel che resta del sogno del cinematografo. Forse i Lumiére avevano ragione quando pronosticavano a quest’arte vita breve. Chi lo avrebbe mai immaginato”. Arriva al bancone un nuovo bambino con la locomotiva di un treno in mano. Ha chiaramente bisogno delle mani esperte di Méliès per ritrovare il sorriso.
Mi congedo con discrezione. Vivo un profondo senso di colpa per lo streaming illegale che ha dato inizio a questo viaggio. Non avrei potuto scegliere modo peggiore per rapportarmi a lui. Una domanda però ora occupa la mente: come è possibile che oggi tutti conoscono il suo nome ed osannano le sue opere se queste sono state distrutte completamente? Come è riuscito il nome di Méliès a liberarsi dallo stringente oblio che lo ha trascinato via dagli schermi di tutto il mondo per rinchiuderlo in una stazione ferroviaria? So che qui non troverò risposte soddisfacenti, ma un nuovo nome fa capolino, Thomas Edison, e già intuisco che sarà un tassello fondamentale della risposta, nonostante non capisca ancora la sua relazione con il cinema. Non aveva inventato la lampadina?
Riapro di colpo le palpebre mentre sullo schermo scorrono i titoli di coda di un film che non son sicuro nemmeno di aver visto. Il biglietto non emette alcuna luce adesso, ma inizio a comprenderne l’importanza, per cui lo ripongo con cura in un cassetto. È ora di scavare più a fondo in questa epica storia, a presto Papà Georges!