Dal 3 agosto, l’Italia ha atteso con il fiato sospeso in un misto di compassione e ansia gli aggiornamenti sul ritrovamento del piccolo Joele di 4 anni, dopo la scoperta del corpo della madre Viviana, nota dj milanese, avvenuta 5 giorni dalla sua scomparsa, l’8 agosto.
La storia resta ancora avvolta nel mistero di una madre fragile psicologicamente che dopo un lieve incidente sulla strada che lega Messina a Palermo, sarebbe fuggita non si sa perché né da cosa nelle campagne intorno ai tralicci dell’autostrada, forse spaventata, forse in preda al panico, forse impauritasi per l’urto, forse seguita da qualcuno, forse impressionatasi per qualcosa, forse vittima di se stessa e del suo travagliato tormento spirituale, in compagnia del suo piccolo Gioele che da ultima testimonianza portava teneramente in braccio sveglio con gli occhi aperti e il viso appoggiato sulla sua spalla, in segno di abbandono e fiducia.
Nel durante le ricerche, moltissime sono state le teorie e le illazioni con una parte discutibile del giornalismo raccapricciante e morboso intento a scavare nei meandri della mente della povera Viviana, nelle dichiarazioni ritrovate nel suo passato da deejay con le più svariate e strampalate teorie e nei suoi problemi psicologici identificati in crisi mistiche e stati di angoscia ed ansia.
Quest’opera di accanimento e sensazionalismo, celato dietro la parvenza di un approfondimento da reportage, ha svelato e disvelato, nel passare dei giorni, la vita privata di Viviana, la sua intimità, le sue dichiarate sofferenze, le sue debolezze, i suoi pensieri più complessi e controversi, le sue cedevolezze rispetto alla difficoltà di essere diventata madre, la sua fede in un Dio della luce, i suoi fantasmi più segreti e sigillati ormai nel suo cuore e la sua preoccupazione per le tenebre di insani sentimenti che la perseguitavano, tormentata com’era da malvagi pensieri alla presenza di quelli che definiva come mostri interni che comparivano nella sua vita e che lei provava a combattere (anche attraverso una prescritta cura farmacologica e sedute psico-terapeutiche causa una forte condizione di depressione).
Fin dal giorno della loro scomparsa, sono partite le ricerche per madre e figlio con la messa in campo di ben 70 addetti guidati dal prefetto competente che con droni e cani molecolari hanno setacciato la zona senza ritrovare nulla per diversi giorni.
Il ritrovamento improvviso del corpo della madre – forse caduta dopo la perdita di equilibrio da un piccolo promontorio – a pochi metri dal traliccio dell’autostrada ha abbattutto tutti e, in primis, il padre e la famiglia di Viviana stretti in un dolore fortissimo e appesi ad un filo sottilissimo di speranza per ritrovare Gioele sano e salvo.
Il 19 agosto il padre avvia una ricerca con decine di volontari accorsi per fornire il proprio contributo e per ripercorrere le zone incriminate e, in tarda mattinata, arriva l’ora più drammatica, la quasi totale certezza del 99% che il corpicino ritrovato appartenesse al piccolo e dolcissimo Joele, riconosciuto attraverso oggetti e indumenti, tra cui le famigerate scarpe motivo dell’uscita con la madre in quella tragica mattina.
A ritrovarlo un carabiniere in pensione, partito volontario per le ricerche, in un posto localizzato ad appena 200 metri dal guard rail dell’autostrada da cui madre e figlio fuggivano senza spiegazioni, luogo, peraltro, già battuto e perlustrato dagli agenti accorsi nei giorni successivi all’accaduto – ecco, dunque, indagini nelle indagini sul perché e il per come dei sopralluoghi ad opera degli agenti non sia stato rinvenuto prima il corpo e la tesi parrebbe propendere per uno spostamento avvenuto in un momento successivo da parte degli animali selvatici che vivono liberi in quei luoghi (con video riproposti sui social dal padre ferito che, nel mostrare i metodi utilizzati, accusa scarsa attenzione e dedizione nonché mancanza di professionalità e competenze nell’effettuazione delle ricerche del suo piccolo Gioele).
Di qui le polemiche per il trascorrere dei tantissimi giorni senza rintracciare i corpi, la rabbia del padre del piccolo per un’attesa spamodica con un epilogo tanto tragico e la complessa ricostruzione della vicenda tra chi parla di omicidio-suicidio della madre e chi di tragica fatalità. Da ultimo si è insinuata anche l’ipotesi di un terzo insospettato aggressore il cui dna é al vaglio degli inquirenti ove esistesse.
Sta di fatto che senza alcun riguardo per il dolore e il dramma del momento del ritrovamento del piccolo Joele, le televisioni o, almeno un certo tipo di televisione e di scelta di registro giornalistico hanno bypassato il buon gusto e il rispetto dello strazio di un padre e ci hanno rifilato in massa e a ripetizione le immagini di un genitore distrutto da una scoperta tanto tragica riversato sulla bara contenente il probabile corpicino del piccolo Joele.
L’Ordine dei Giornalisti con un asciutto “post” prende le distanze da un certo tipo di racconto giornalistico e condanna la mancanza di delicatezza e sensibilità per un dolore tanto immenso:“Tante le cose ancora da chiarire e da raccontare sulla vicenda del piccolo Gioele, ma la prima cosa che va fatta è rispettare il dolore che questa tragedia comporta.
Va bene mostrare il padre del piccolo che disperatamente si muove coi volontari per cercare il figlio, inaccettabili invece le immagini del suo pianto dopo il presumibile ritrovamento dei suoi resti, tali modi non appartengono a buona televisione e buon giornalismo”.
Eppure basta fare un po’ di tradizionale arcaico zapping in tv o fare un giro su internet per vedere e rivedere insistentemente la sequenza drammatica dell’arrivo della bara e del padre riversato disperato su di essa: una sequenza che andava riservata, accantonata, conservata, inibita e proibita ai più, tenuta segreta con un ossequioso passo indietro da parte di chi era lì e un bel tasto di spegnimento sul pulsante off della propria videocamera nel rispetto anzitutto della sofferenza ma anche della deontologia del proprio ruolo di narratore.
Purtroppo, ai danni di una famiglia distrutta e di un padre abbandonato alla disperazione ed ad un dolore che non troverà mai pace, si é preferito assicurarsi l’ascolto facile e indubbio attraverso la forza della visione di immagini in grado di emozionare, commuovere, piangere e, nello stesso tempo, accattivare, incatenare, soggiogare un pubblico purtroppo ancora troppo numeroso che risponde al richiamo del sensazionalismo spicciolo e del dolore spifferrato e spiattellato in rete e in video senza garbo né osservanza dei principi minimi di umanitas e di pietas!
Passi che la loro vita fosse stata passata al setaccio… che il padre sia stato ripreso sui luoghi coi soccorritori…che la madre e la sua mente siano state triturate e strizzate, peggio che dagli strizzacervelli, nei gettonati salotti tv…. che la lettera che Viviana ha dedicato al figlio in pubblico, dopo aver attraversato un momento buio per la maternità, sia stata non solo ufficializzata ma studiata e scandagliata nel dettaglio delle parole e dei pensieri con dietrologie spiccie e dedotte interpretazioni della sua voglia di fuga…che tutti noi ormai conosciamo diagnosi e prognosi del suo malessere e nome e cognome del suo terapeuta con il virgolettato dei suoi problemi psicologici…che si continui a rimarcare la tendenza e ossessione di Viviana al suicidio anche se la famiglia dichiara che non é così e il padre insiste, anche attraverso persistenti dichiarazioni dei propri legali, nel dire che la madre non avrebbe mai fatto del male al proprio bimbo…che dobbiamo sciropparci ore di congetture e ricostruzioni fantasiose nel silenzio degli inquirenti intenti a scoprire la verità scientifica dei fatti perché quella dei pensieri è volata via in cielo insieme a Viviana… che della vita di questa famiglia non si é avuto rispetto né osservato un doveroso silenzio né evitato di esprimere giudizi da Forum con tanto di colpetto del martelletto dello jus juris e dello jus iudicandum ma…é indecoroso, vergognoso e scandaloso fare proseliti e perseverare, biascicare in una descrizione particolareggiata e accanita dei dettagli del ritrovamento spiluccando dal dolore le lacrime, senza lesinare sul volto sconvolto dei parenti, rallentando con raccapricciante morbosità sul ravvicinamento simbolico padre-figlio con un effetto moviola devastante e un incedere granguignolesco…
Mah!…c’è un mah! grandissimo in quanto di fronte alla morte di un bambino di soli 4 anni , alla sua certezza incontrastastabile, alla sua verità incontrovertibile e alla sua straziante storia, andava rivolto in silenzio solo un religioso segno della croce e per chi non crede un commosso congedo, lo spegnimento fulmineo contestuale e automatico di tutti i dispositivi esistenti e, infine, un improbabile sussurrato dolce addio.
Allora sì che la morte e la vita sopravissuta alla morte che vita non sarà mai più avrebbero avuto il rispetto che meritano!