Come già ricordato in un precedente articolo, il mondo dello spettacolo, della canzone e della musica era già in crisi da un bel pezzo a livello creativo e non solo, prima che sopraggiungesse il Covid19 a tarpargli quasi definitivamente le ali. Quasi.
In effetti erano almeno dieci o dodici anni, adesso non ricordo, che non uscissero inediti di quei pochi cantanti o cantautori italiani rimasti che vanno per la maggiore. E qui è doveroso effettuare un bel salto all’indietro, inizio anni ’70.
In quel periodo stavo appunto iniziando ad assaporare in tutte le sue sfaccettature la straordinaria musica dei grandi Genesis quando lo stesso compagno di classe che attraverso l’ascolto dei dischi mi aveva iniziato alle opere del grande gruppo prog rock britannico un giorno mi fa: “Ascolta questo ma guarda però che è tutta un’altra cosa”, ben sapendo che ero ormai profondamente immerso nelle atmosfere genesiane. Gia la copertina stava a testimoniare una realtà totalmente differente dalle cover paints di Paul Whitehead, con due carabinieri ammanettati tra loro e più su l’icona dell’armonica a bocca. A quel tempo ero quasi convinto che la musica fosse esclusivamente una questione di insieme quindi, anche sapendo ormai dell’esistenza di un certo menestrello folk, americano di Duluth, rimango comunque sorpreso dall’ascoltare una chitarra prevalentemente ritmica a 12 corde (unica cosa in comune con i Genesis), un’armonica a bocca stile blues, uno strano strumento a fiato dal suono a pernacchia(probabilmente non a caso) e una voce stridula, canzonatoria ed irriverente. L’ artista è Edoardo Bennato da Bagnoli(Na) e l’album si intitola “I buoni e i cattivi”, con testi imperniati sulla difficoltà di distinguere il bene dal male, e su come i concetti di buono e cattivo siano spesso intrecciati tra loro e quindi di difficile giudizio. Ma anche, come in “Un giorno credi” scritta a quattro mani con Patrizio Trampetti(NCCP), sulle fallaci convinzioni e le ripartenze da zero dell’essere umano alle prese con la vita di tutti i giorni, passando per gli attacchi ad alcune alte cariche dello stato e persino alle pubbliche amministrazioni e a consolidate istituzioni come la scuola, come in “Uno buono”, “Ma che bella città” e “In fila per tre”. Il riferimento a Bob Dylan è evidente ma piuttosto è l’approccio che varia, cantilenante e quasi fatalista quello del folk singer del Midwest, aggressivo e sfottente quello del rocker di Bagnoli.
Dal vivo l’impressione che si ha è quella del “One man band”: chitarra 12 corde utilizzata ritmicamente, armonica a bocca, kazoo e persino una piccola bass drum a pedale per portare il tempo. E, ovviamente, la voce col suo timbro stridente, canzonatorio e dissacrante di qualunque cosa legata ad un sistema interessato esclusivamente alla pedissequa obbedienza del cittadino verso i suoi dettami.
Di nuovo un bel salto, questa volta in avanti per tornare ai giorni nostri e a ciò che dicevo all’inizio. Nel frattempo Edoardo Bennato è ormai assurto al ruolo di grande rocker nazionale, primo cantante/cantautore italiano ad esibirsi nel 1976 al Montreux jazz festival(!) e primo cantante/cantautore italiano a riempire lo stadio di S.Siro nel luglio 1980 con più di sessantamila persone, insomma una star(senza esserlo veramente) del panorama musicale nostrano. A novembre 2020, in piena pandemia, esce “Non c’è”, 42° album pubblicato dal cantautore contenente quasi per intero versioni rivedute e corrette di alcuni dei suoi brani più famosi tra cui “Bravi ragazzi”, presente appunto in “I buoni e i cattivi” del 1974, dove Bennato all’epoca faceva ironicamente appello al senso civico dei cittadini nei confronti dello stato e dove invece adesso ripete la stessa operazione ma a favore dello” stare calmi e buoni” in presenza di una grave emergenza sanitaria mondiale, così come rappresentato dal cantautore durante un intervento al programma televisivo domenicale di Mara Venier su Rai1. Ma “Non c’è”, l’inedito del nuovo lavoro di Bennato, mette in evidenza l’enorme difficoltà odierna dell’artista, tra azzeramento della presenza in pubblico causa covid19 e scomparsa totale di addetti ai lavori che sostengano la vera cultura, di farsi largo tra il pubblico se non attraverso i social (anche autogestendosi) altrimenti quell’artista, anche se popolare in passato, appunto non c’è. Non esiste!
Eccolo di nuovo il grande Edoardo Bennato, che ammiro e che ho sempre ammirato, tornare a fare denuncia attraverso le canzoni vere, con la band oppure con la sua 12 corde, l’armonica a bocca, il kazoo e la sua voce appena stanca e arrochita dagli anni che passano ma pur sempre ironica, graffiante e perennemente canzonatoria! Eccolo, dopo 50 anni di onorata carriera che torna a riproporre la sua radicata identità di rocker di denuncia, fuori dagli schemi e fuori da ogni tentazione, persino adesso, di far parte di una corporazione di sistema o di aziendalismi volti solamente verso se stessi e verso i propri interessi! Bentornato Edoardo, chapeau!