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© 2022 Senzalinea testata giornalistica registrata presso il Tribunale di Napoli n. 57 del 11/11/2015.Direttore Responsabile Enrico Pentonieri
Riflessioni Senza Linea

La nuova avventura dei Mondiali di calcio in Qatar

Fabiana Sergiacomo
Fabiana Sergiacomo 2 mesi fa
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11 Min Lettura
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Domenica 20 novembre 2022 ore 1530 – ora italiana- parte la cerimonia di inaugurazione dei Mondiali di Calcio 2022 in Qatar.

Le coreografie e l’organizzazione della cerimonia di apertura sono state realizzate da Marco Balich, orgoglio italiano che ha dichiarato di aver messo in scena, per la prima volta, per i mondiali di calcio un evento in cui dialoghino culture e tradizioni diverse e in cui a parlare siano i diritti da riconoscere sullo sfondo di un binomio tra multiculturalità e diseguaglianze.

Un Mondiale che ha in se un doppio primato: è il primo  realizzatosi in pieno inverno ed e’ il primo ambientato in un deserto sotto la benedizione di un Emirato che ha uno sguardo benevolo per lo sport e per il mondo che riceve all’altezza delle aspettative ma che resta un po’ un passo indietro nei confronti dei propri sudditi che non hanno nemmeno forse la forza di reclamare diritti e libertà all’occidentale.

Un evento controverso e ampiamente  al centro di discussione nelle ultime settimane non solo in Italia fra i tanti, un Fiorello esilarante tra i principali oppositori che ha regalato diverse chicche mattutine al riguardo ma in tutto il mondo per lo Stato ospitante che non vanta certamente un posto di prim’ordine nel riconoscimento dei diritti umani.

Le accuse, mosse sotto tutti i punti di vista, vengono rivolte contro la logica idealistica di una società che stenta a decollare nella valorizzazione dei diritti delle minoranze, dei disabili e, meno che mai nei confronti dei Lgbtq+ che non hanno il riconoscimento  dovuto e che in una conferenza stampa di qualche settimana fa erano entrati nell’occhio del ciclone dopo le parole pronunciate da uno degli organizzatori, oscurato per le sue aberranti dichiarazioni di intolleranza.

A dire il vero, l’atmosfera che ha anticipato la vigilia dei Mondiali è stata al limite del surreale perché si sono mescolate ovvietà ed ipocrisia, certo non è una scoperta dell’altro ieri che lo Stato prescelto non sia tra i primi al mondo per il riconoscimento dei diritti umani, dei diritti delle donne, dei diritti e delle libertà dei “diversi”, dei diritti dei lavoratori, degli immigrati, del mondo lgbtq, i diritti delle minoranze, la lotta contro le ingiustizie e per la democrazia hanno sostituito  fino dal primo attimo i titoli sportivi,  spesso con accuse gravissime come quella delle associazioni che imputano 6.500 morti sul lavoro in questi 12 anni di diritti ignorati in Qatar nonché le mille contestazioni della violazione delle norme per la tutela ambientale in difesa della ecosostenibilità..

Per la prima volta nella storia polemiche e rivendicazioni dei diritti e delle libertà dovranno convivere nel campo con il calcio giocato.

In tutte le altre esperienze sportive di calibro mondiale anche nelle olimpiadi,  le battaglie degli oppositori, delle minoranze, dei critici del sistema si sono dissolte all’esordio delle gare.

Questo mondiale però ha una differenza sostanziale proprio perché le lotte civili, di giustizia, per i diritti, in parte in un continuum con quello che sta accadendo in Iran con le rivendicazioni dopo la morte ingiusta della giovane ventiduenne  Mahsa Amin e in parte per la guerra ingiusta nel cuore dell’Europa che reclama il bisogno di pace tra popoli, restano sullo sfondo, scenario inconfondibile di un mondo molto lontano e diverso, nonché in evidente  contraddizione tra identità propria e coerenza democratica dei paesi che ospita sul campo.

Alcuni giocatori rivendicano il diritto di portare fasce simboliche che rappresentino i diritti in cui credono  anche rischiando eventuali sanzioni, altri sono troppo concentrati sul proprio addio al calcio mondiale per soffermarsi sui problemi costituzionali del Qatar, altri si sono mostrati soddisfatti di essere stati invitati pronti a godersi lo spettacolo dello sport in prima fila senza porsi il problema di quale sia il mondo quotidiano vissuto dai sudditi dell’Emirato.

In tempi record e in barba alla ecosostenibilità tanto osannata e ai diritti dei lavoratori, sono stati realizzati ben 8 stadi  con tutte le relative strutture ricettive nel pieno deserto.

La città principale Doha, con un territorio vasto più o meno quanto l’Abruzzo, ospiterà l’intera manifestazione sportiva, con i suoi mille colori scintillanti e le illuminazioni stile natalizio dimentichi della grave crisi energetica che, di certo, non intacca le tasche miliardarie degli emiri che grazia al petrolio hanno creato uno Stato artificiale tra i più ricchi al mondo.

E così sotto questa coltre nebulosa di dubbi e perplessità, sono partiti i Mondiali  che sconteranno ancora per un po’ la scia delle polemiche perché nonostante le chiacchiere e le contestazioni, l’era dei diritti sembra ancora lontana seppur non possano negarsi le buone intenzioni degli organizzatori (che vedono in prima linea un italiano) e dello stesso emiro al potere che nelle sue parole ha coniugato concetti come diritti, coesione, apertura al mondo, unione  e rispetto delle diversità, pur nella stridente dissonanza tra ciò che si proclama e ciò che si vive sotto il suo impero.

E così la manifestazione si apre con la presenza autorevole e rassicurante di Morgan Freeman, premio Oscar e carriera longeva e valorosa, al servizio di un cinema di qualità ed espressione dei diritti e delle libertà, che nell’incontro con un ragazzo disabile, molto noto in Qatar, apre al mondo l’esperienza sportiva richiamando concetti come diversità di lingue e tradizioni che devono unirsi e superare le distanze.

Con un motto “ quello che ci unisce è più grande di quello che  ci divide” che diviene emblema e simbologia di quello che questo mondiale vuole rappresentare agli occhi del mondo per conquistare uno sguardo diverso e mitigare critiche e asprezze ricevute.

E così come anticipato dal creatore artistico italiano, Balich, si susseguono uno dopo l’altro i grandi principi dei diritti e delle libertà invocate nel mondo e riconosciute nelle grandi democrazie.

Il tema dell’inclusivita’ con un attore giovanissimo qatarino che per una malattia congenita non ha sviluppato gli arti inferiori e che diviene testimonial dei diritti dei disabili.

Il tema della multiculturalità e apertura al mondo con gli sbandieratori della Federazione italiana, con le bandiere di tutte le 32 squadre partecipanti. Almeno una doppia partecipazione dell’Italia  nella fase cerimoniale vista la fragorosa assenza dal campo da 8 anni in ben due mondiali consecutivi.

Il tema del riconoscimento di una linea di coesione e continuità tra passato e presente con la trovata di mettere in scena coreografie, colonne sonore e mascotte dei mondiali degli ultimi anni con la sfilata anche dell’Italianissimo Ciao tricolore dei Mondiali Italia ‘90.

Il tema della tolleranza e del rispetto che ribadiscono le immagini di una partita dell’emiro improvvisata nel deserto che ora ospita gli stadi e la volontà nelle parole del padrone di casa di aprire le porte al mondo e di volgere lo sguardo altrove rispetto ai deficit umanitari del proprio paese.

Resta l’amarezza in un momento storico come questo che nonostante le buone intenzioni, si sa bene che le donne in Qatar e nel mondo arabo in generale sono in un gradino più basso della società costrette non solo ad una sudditanza fisica e stilistica con obblighi di indossare veli e copricapo e a nascondere il corpo e gli sguardi ma ad una sudditanza imposta dalla società che le relega principalmente al ruolo di mogli e madri!

Nulla di male certo,  ma lo scontro tra civiltà questa volta è lo sfondo ineludibile delle partite di questo mondiale e non può mettersi la testa sotto la sabbia “del deserto” solo perché si è scelto di inscenare diritti e libertà per il mondo che assiste e che, però, consolazione vuole che anche i sudditi dell’emiro Tamim bin Hamad Al Thani abbiano potuto sognare un mondo diverso anzi abbiano potuto godersi un mondo diverso dove immigrati, disabili, donne, lgbtq+ possano incontrarsi e vivere in pace e questo forse è il vero valore dello sport.

Ne è valsa la pena anche se solo semplicemente si è  data la possibilità a tutti di immaginare, allo stesso modo, un mondo di diritti e libertà, di uguaglianze e coesione, di fratellanza e speranza, laddove questi messaggi stentano spesso ad arrivare, sempre che non siano stati oscurati ovviamente  (?!?)

Beh! Allora davvero ne è valsa la pena.
E questo  potrebbe essere il vero unico successo di questo controverso e lontano mondiale…e in generale dello sport che può riuscire ad avvicinare gli inavvicinabili con forza e genuinità come mai nelle vite normali e’ possibile fare.

 

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Pubblicato da Fabiana Sergiacomo
Fabiana Sergiacomo, funzionario del Miur, appassionata della mia città e della sua inesauribile cultura. Dotata di una passione sconfinata per la lettura, la scrittura e l'arte che Napoli offre in ogni angolo e in ogni suo tratto caratteristico.
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